Una vita in scadenza

________________________________di Dino Perrone

 

Quasi un terzo degli italiani è impegnato a restituire ratealmente quanto ottenuto in questi anni con mutui e prestiti personali. Un fardello che grava come un macigno sulla nostra economia domestica e che certo non aiuta il rilancio della domanda interna

Secondo i dati diffusi dal sistema di informazioni creditizie Eurisc, quasi un terzo degli italiani ha in corso almeno un contratto di credito rateale tra mutui, prestiti finalizzati e prestiti personali.

Mediamente, il rimborso mensile per ciascuno di loro è di circa 362 euro mentre, sempre come media nazionale, la somma degli importi ancora da rimborsare è di oltre 34mila euro.

Questo è il fardello che grava sull’economia domestica delle famiglie italiane. Una economia che si regge sui debiti contratti per comprare non solo la casa ma anche, più banalmente, l’automobile o nuovi elettrodomestici, dal televisore alla lavatrice, e persino drammaticamente per potersi permettere le cure mediche specialistiche.

Un fardello resosi necessario per affrontare gli anni lunghi della recessione, utilizzando lo strumento del credito per cercare di andare avanti.

E’ l’Italia profonda che, alle tante e spesso odiose scadenze burocratiche, aggiunge, un po’ per scelta e molto per necessità, anche quelle delle rate da pagare.

Una propensione all’indebitamento che varia da regione a regione, con Lombardia, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige che presentano le percentuali più alte mentre in generale nel Meridione ci si indebita apparentemente di meno anche in conseguenza di una economia sommersa ancora molto diffusa.

E’ poi interessante notare come non siano i mutui per l’acquisto di immobili a rappresentare la quota più alta delle forme di finanziamento, bensì i prestiti finalizzati, quelli cioè richiesti per far fronte ad esigenze più immediate.

Siamo alle prese, insomma, con un Paese che ricorre al finanziamento per affrontare il quotidiano piuttosto che per progettare il futuro. Un Paese che ancora arranca invece di riprendere spedito la sua corsa.

E certo non aiuta a superare questa situazione la “gelata” di metà agosto che ha notevolmente raffreddato gli entusiasmi sulla crescita economica dell’Italia, dando ragione alle stime dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, da noi illustrate la scorsa volta proprio su questa tribuna, secondo le quali a fine anno la crescita dell’economia italiana resterà comunque al di sotto dell’uno per cento.

I dati recentemente diffusi sulla frenata del Pil nel secondo trimestre dell’anno, anche se in parte previsti, ci hanno collocato in coda ai Paesi dell’Eurozona e promettono una crescita acquisita a fine anno di appena lo 0,6 per cento, addirittura la metà del tendenziale ottimisticamente previsto dal governo in carica.

A ciò si aggiunga la crescente incertezza politica in vista del referendum costituzionale, le perduranti perplessità dei mercati sullo stato di salute del nostro sistema bancario e la complessità del quadro geopolitico internazionale.

Tutti elementi che possono incidere negativamente sulle scelte di investimenti, di spese importanti o semplicemente di concessione di prestiti.

Il Ministero del Tesoro, quando afferma che il dato sul Pil fermo “non costituisce una sorpresa”, spiegando che dipende da fenomeni come la minaccia del terrorismo, la crisi dei migranti e la Brexit, non fa altro che “il suo mestiere” che è anche quello di tenere viva la fiducia del Paese sulla solidità e le prospettive di ripresa della nostra economia.

Ma la situazione resta oggettivamente grave e questa nuova battuta d’arresto del Prodotto interno lordo fotografa una Italia sostanzialmente ancora bloccata.

Gli effetti del bonus di ottanta euro e delle riforme del mercato del lavoro contenute nel Jobs Act sembrano già evaporati e comunque, in ogni caso, non hanno prodotto quella scossa positiva al sistema economico di cui si avverte più che mai la necessità.

Resta la vita a rate degli italiani, costretti tra mille scadenze e conti domestici che si fatica a far quadrare.

Resta un senso di precarietà e di incertezza che male si addice ad una economia che si vorrebbe invece già al galoppo verso una ripresa che, al contrario di quanto ci viene assicurato, si palesa sempre più difficile da agguantare.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI