L’ottimismo aggrappato allo zero virgola qualcosa

________________________________di Dino Perrone

 

Per il quarto mese consecutivo è cresciuto il numero degli occupati. Ma le percentuali restano davvero molto basse. La convalescenza del Paese è ancora lunga ed i passi da compiere restano davvero tanti e piuttosto complicati

Difficile comprendere lo stato reale della nostra economia.

Le cronache quotidiane descrivono un Paese ancora in difficoltà, in cui le fasce sociali più deboli fanno fatica a reggere il passo mentre il ceto medio rischia di scivolare in una condizione di diffusa marginalità.

Per contro, gli ultimi dati Istat relativi al mese di giugno dicono che l’occupazione, pur di poco, è cresciuta per il quarto mese consecutivo e la disoccupazione giovanile è scesa al livello più basso degli ultimi quattro anni.

Tanto è bastato per far scrivere al premier Matteo Renzi che dal febbraio 2014 ad oggi ci sono più di 599 mila posti di lavoro e che queste sono “storie, vite, persone. Questo è il Jobs Act”.

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, commentando a sua volta questi dati, ha sottolineato che “ci sono 71 mila occupati in più sul mese precedente, 329 mila in più in un anno e 600 mila in più da quando siamo al governo”.

Agosto insomma, tradizionale mese dedicato alle vacanze e al tempo libero, visto dall’attuale esecutivo si è aperto sotto i migliori auspici.

Ma è proprio così ? Consentitemi di nutrire qualche dubbio.

Infatti, secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, a fine anno la crescita dell’economia italiana resterà comunque al di sotto dell’uno per cento. Vale a dire tra i due e tre decimali in meno rispetto a quanto previsto dal governo Renzi.

La convalescenza, dunque, continua. Anzi i tempi sembrano destinati ad allungarsi dal momento che gli investimenti restano sostanzialmente fermi e la domanda interna di consumi non riesce ancora a lievitare come auspicato.

Sempre secondo queste stime, infatti, il potere di acquisto è aumentato in modo significativo, anche grazie alla caduta dei prezzi petroliferi, ma i consumi non sono cresciuti in quanto una quota rilevante del maggior potere di acquisto è stata destinata a ricostruire i risparmi delle nostre  famiglie.

Insomma, gli italiani restano ancora molto cauti. In un certo senso continuano a “non fidarsi”. Difficile dar loro torto, dal momento che si passa con una sconcertante rapidità da segnali di ottimismo a drastiche cadute di prospettive.

Nonostante la crescita occupazionale registrata a giugno, il nostro Paese continua ad avere un tasso di disoccupazione di un punto e mezzo più alto rispetto alla media europea. Una zavorra che non si riesce ad alleggerire e che rallenta ogni reale passo in direzione della crescita.

La sesta o settima potenza industriale non può continuare ad accontentarsi di un ottimismo aggrappato allo zero virgola qualcosa.

E’ necessario un drastico cambio di passo che tocchi i fondamentali della nostra economia, che ripensi in chiave complessiva alle storture e debolezze del sistema del lavoro, che attenui una pressione fiscale insostenibile sia per le famiglie che per le imprese.

Occorre insomma una capacità di pensare a nuovi orizzonti in cui politica, cultura, realtà sociale, industria e tecnologia sappiano guardare ad un concorde progetto di Paese nel quale gli steccati tra settori appartengano al passato.

Occorre una politica ed una economia della conoscenza che siano capaci di unire ricerca ed innovazione con lo sviluppo dei talenti e la necessaria coesione e giustizia sociale, attraverso una strategia inclusiva che consenta di aprirsi alle filiere culturali e produttive globali.

Un programma troppo vasto ? Un programma troppo ambizioso ? Forse.

Ma un Paese, se davvero vuole crescere, deve avere il gusto di osare e di accettare la sfida del cambiamento. Altrimenti il suo orizzonte sarà ristretto sempre ad uno zero virgola qualcosa per il quale, francamente, risulta sempre più difficile esaltarsi ogni volta.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI