L’estate rovente di un Paese infelice

________________________________di Dino Perrone

 

L’Istat certifica che in Italia oltre un milione e mezzo di famiglie si trova in condizioni di povertà assoluta. E’ la cifra più alta degli ultimi dieci anni. Un dato che conferma come tende ancora ad ampliarsi la forbice sociale che divide la nostra società

E’ una estate triste e rovente per il nostro Paese.

Triste perché, in pochi giorni, abbiamo dovuto dire addio a tanti nostri connazionali vittime innocenti di un terrorismo di sedicente matrice religiosa che si nutre solo di odio e nichilismo. Dopo Dacca, i morti di Nizza. Un monito per quanti si ostinano a ritenere che possa ancora esistere un luogo al mondo dove la violenza non possa arrivare a colpire.

Rovente, questa nostra estate, per l’acuirsi di un disagio sociale che la “narrazione” dell’attuale governo stenta sempre più a nascondere.

Una “narrazione” che ha dovuto fare i conti, tra le due stragi del terrorismo internazionale che hanno coinvolto i nostri concittadini, anche con la dura ed inaccettabile vicenda del disastro ferroviario in Puglia. Emblema degli atavici ritardi di una certa Italia troppo parolaia nella quale le troppe falle del sistema di trasporto ferroviario assurgono a paradigma delle carenze infrastrutturali del nostro Paese.

Estate rovente, ho detto. Ma anche di grande indigenza.

In queste settimane l’Istat ha infatti fornito una serie di dati sulla povertà in Italia che sono davvero impressionanti.

Ebbene, sulla base di parametri che calcolano la spesa mensile necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile, le famiglie residenti che si trovano in condizione di povertà assoluta sono oramai arrivate ad un milione e 582 mila. Si tratta della cifra più alta registrata dal 2005 a oggi.

Un dato preoccupante assai, dal momento che, se consideriamo che il 2015 è stato comunque un anno di crescita del prodotto interno lordo, significa che i poveri stanno aumentando anche se il Paese è diventato, sia pure di poco, più ricco.

La forbice sociale, insomma, continua drammaticamente ad allargarsi. Ed all’orizzonte non si intravedono segnali di una qualche inversione di tendenza.

Il nostro sistema di welfare continua infatti a non prevedere efficaci strumenti per il sostegno al reddito delle famiglie con figli. Strumenti che invece sarebbero più che mai opportuni per favorire anche la tanto agognata accelerata ai consumi necessaria a far ripartire la stagnante domanda interna.

Quelli messi in cantiere per i prossimi mesi, al di là delle buone intenzioni e dell’ottimismo della compagine governativa, rischiano di rivelarsi solo pannicelli caldi che non riusciranno a risolvere alla radice un problema che, secondo le rilevazioni dell’Istat, attanaglia ormai oltre quattro milioni e mezzo di nostri concittadini.

Fra i tanti, il dato più preoccupante riguarda però i giovani ed i giovanissimi.

Un minore su dieci si trova in condizioni di povertà assoluta e in dieci anni l’incidenza della povertà assoluta tra i bambini è cresciuta dal 3,9% del 2005 al 10,9% del 2015. Una percentuale lievitata in maniera inaccettabile, nella generale disattenzione.

Dinanzi a questi dati è più che mai lecito chiedersi verso che razza di Paese stiamo andando.

Un Paese nel quale la spesa pubblica è tutta sbilanciata verso le persone più anziane senza peraltro assicurare loro uno standard adeguato di servizi. Un Paese nel quale nel 2014 la spesa diretta per l’infanzia e l’adolescenza è stata pari appena allo 0,7 per cento del bilancio, cioè lo 0,2 per cento del Pil: 398 euro l’anno per ogni bambino o ragazzo.

Un Paese che ancora non riesce a dare concreta attuazione a quel Piano nazionale per l’infanzia, approvato all’unanimità in via preliminare il 28 luglio 2105 dall’Osservatorio infanzia, che prevede livelli essenziali delle prestazioni, in modo da garantire ai minori una protezione esterna alla famiglia e l’eguaglianza nell’accesso ai servizi, senza che questi dipendano dalle condizioni economiche familiari.

Un Piano biennale che rischia di restare un libro delle buone intenzioni che non riesce ad eliminare la ruggine di un Paese a doppia velocità nel quale le fasce sociali più disagiate rischiano di scivolare ancora più in basso.

Un Paese che, anche per queste ragioni, continua ad essere profondamente infelice.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI