Quanto dura veramente l’indignazione nel nostro Paese? E dopo, passata l’indignazione, cosa resta, cosa concretamente accade?
Vengono in mente queste domande dinanzi all’ennesima tragedia sul lavoro avvenuta nelle scorse settimane in Italia, questa volta in un cantiere a nord di Firenze nell’area del vecchio Panificio Militare. Ancora morti bianche, ancora indignazione e poi, appunto, ancora niente. Come troppe volte in passato, purtroppo.
Nel solo 2023 ci sono state oltre mille denunce di incidenti mortali sul lavoro. Una media di tre morti al giorno. Numeri spaventosi, certamente non da un Paese veramente civile.
Morire sul lavoro è inaccettabile. Morire con una tale vergognosa frequenza è intollerabile. C’è evidentemente una vistosa scollatura, qualcosa che non tiene nel sistema dei controlli e delle prevenzioni. Ci sono buchi normativi ancora da colmare.
Ma c’è anche di più.
E’ ovvio che ogni morte sul lavoro richiede una indagine apposita per capire come l’evento si sia determinato e per appurarne responsabilità ed irrogare le conseguenti sanzioni. Ma l’eloquenza dei numeri ci dice che la strategia finora adottata in materia non ha funzionato e che, appunto, c’è di più
C’è alla radice, evidentemente, ancora una concezione ottocentesca che in troppi casi continua a sacrificare sull’altare del profitto la sicurezza del lavoro. Ed è opportuno sottolineare come non tutte queste morti siano uguali, dal momento che esse, specie negli ultimi anni, colpiscono in particolar modo gli immigrati per i quali l’incidenza infortunistica ha un valore più elevato perché spesso svolgono le mansioni più rischiose senza specifica esperienza e, occorre evidenziarlo, troppe volte anche senza alcun tipo di formazione da parte dell’azienda presso la quale sono impiegati.
In assoluto il settore delle costruzioni è quello con più decessi, seguito da trasporti e agricoltura. La causa principale di infortunio mortale è rappresentata dalle cadute dall’alto che, insieme ad altre tipologie di caduta o scivolamento del lavoratore o di caduta sul lavoratore di materiale o di oggetti, macchine e dispositivi, provocano quasi la metà del totale dei decessi.
Ma sempre più spesso a causare incidenti è anche l’interferenza tra le attività svolte dalle diverse imprese appaltatrici presenti in cantiere o sul posto di lavoro. E qui entra in discussione anche il tema della trasparenza del sistema dei subappalti, non a caso al centro di crescenti critiche da parte dei sindacati di categoria.
Ed allora, come sempre, si tratta di adottare scelte politiche nette.
La sicurezza sul lavoro passa attraverso un sistema adeguato di controlli sulla “qualità” di tutti i soggetti coinvolti, eliminando zone d’ombra o addirittura incompetenze. Di qualsiasi tipo.
La nostra associazione da tempo si batte per evitare simili distorsioni, chiedendo sempre a chi governa il Paese, di qualsiasi colore politico sia, di impegnarsi a fondo su questo tema. Ma purtroppo dobbiamo constatare che finora le risposte sono state poco convincenti, flebili, episodiche. Spesso appunto scaturite solo sull’onda di una indignazione che non dura mai abbastanza.
Tutto ciò desta profonda amarezza.
Da tempo ci siamo muniti di una tecnologia in grado di costruire ordigni capaci di distruggere intere nazioni. Da altrettanto tempo, invece, non ci mostriamo in grado di aumentare la sicurezza nelle aree lavorative. Qualcosa non torna. Qualcosa, evidentemente, non funziona.
Il Presidente Nazionale
Avv. Alfonso Scafuro