Calano gli occupati, aumentano i cosiddetti inattivi e il Pil non si muove. LItalia resta dunque al palo. Le prospettive di una ripresa davvero duratura si allontanano drammaticamente. E arrivato il momento di chiedere un deciso cambio di strategia.
Settembre è iniziato nel peggiore dei modi, con una secchiata dacqua gelida che si è scaraventata sulle prospettive di ripresa della nostra economia.
La fotografia scattata dallIstat appunto agli inizi di questo mese ci ha consegnato infatti limmagine di un Paese ancora fermo, con un tasso di occupazione che continua a non crescere, con le famiglie alle prese con tante remore nello spendere, con le imprese in mezzo al guado e soprattutto con un Prodotto Interno Lordo che nel secondo trimestre dellanno è rimasto immobile.
Una fotografia dai toni cupi, poco rassicuranti.
Il premier Matteo Renzi non è ovviamente daccordo ed anche in queste settimane ha continuato a sostenere che lItalia è invece in ripresa e che la ripartenza è già in atto da mesi. Ci mancherebbe che manifestasse pessimismo anche il capo dellesecutivo. Quindi è normale che la narrazione che esce da Palazzo Chigi abbia toni rassicuranti anche in presenza di indicatori economici raggelanti.
Ma la quotidianità del nostro Paese ci racconta altro, anche al di là delle crude certificazioni statistiche dellIstat che smentiscono gli ottimisti in servizio permanente effettivo.
Ed è il racconto di un perenne autunno che è calato ormai da anni sulla nostra economia e che rende flebile ogni prospettiva di ripresa. Un autunno che sta paralizzando una società italiana che appare in perenne attesa, indecisa sul da farsi.
Si moltiplicano infatti i segnali di un progressivo deterioramento della situazione, specie sul fronte delleconomia domestica, che rendono purtroppo più che concreti i rischi di una frenata dei consumi nel secondo semestre dellanno. Ed è possibile anche che la frenata dello scorso luglio in materia di occupazione incida ancor più negativamente sul clima di fiducia generale.
Non possono infatti che destare viva preoccupazione i dati sul mercato del lavoro che ci dicono come in questi mesi loccupazione sia calata, le assunzioni siano rimaste sostanzialmente ferme e sia invece in drammatico aumento, specialmente tra le fasce giovanili, la percentuale degli inattivi. Di coloro cioè che hanno sostanzialmente gettato la spugna, che non hanno un lavoro ed ormai non lo cercano neppure più.
Gli effetti delle riforme contenute nel Jobs Act sembrano essere stati insomma piuttosto limitati e dimostrano come non bastino solo gli incentivi alle imprese per rilanciare lintero sistema. E necessaria una strategia a più ampio spettro. Una strategia che si dimostri capace di portare a soluzione i tanti nodi irrisolti che, come Paese, continuiamo a dover ciclicamente scontare.
In queste condizioni sarebbe delittuoso, da parte non solo dellesecutivo ma dellintero quadro politico nazionale, non rendersi conto di quanto sia necessario un deciso cambio di passo. Il tempo dei provvedimenti-tampone è definitivamente scaduto.
La crisi infatti continua a mordere ed in queste condizioni il Paese non riesce a crescere. Non si crea occupazione, non si spende, non si investe nella misura necessaria. E il clima di sfiducia rischia nuovamente di togliere respiro alla nostra economia.
Il premier Renzi spera ancora di riuscire a chiudere questo 2016 con un punto percentuale di crescita rispetto ai dodici mesi precedenti. Ma è un obiettivo a questo punto molto difficile, visti i risultati conseguiti nel primo semestre dellanno.
E il momento di affrontare con decisione il tema della crescita e dellinnovazione per fare in modo che lespansione della produzione di beni e servizi si riverberi con effetti positivi e soprattutto duraturi sulloccupazione.
La prossima Legge di Stabilità dovrà chiarire molte cose al riguardo. E infatti evidente che dovrà proseguire e rafforzarsi lopera di sostegno alla nostra economia con una politica di bilancio che abbia un occhio di riguardo alle esigenze delle famiglie e delle imprese italiane, favorendo la propensione alla spesa delle prime e quella agli investimenti delle seconde.
Se tutto questo non verrà fatto, il nostro Paese rischia di consegnarsi ad una stagnazione strutturale che ci allontanerà sempre più dal cuore delleconomia mondiale rendendo marginale, se non addirittura residuale, la nostra presenza sullo scacchiere internazionale.
Dino Perrone