I numeri e le parole

________________________________di Dino Perrone

 

Troppo miseri i primi, specie se riferiti alla crescita dell’occupazione. Troppo vuote e sprecate le seconde, specie se cercano di coprire gli effetti di una crisi economica e sociale che nel nostro Paese è ancora tutta da sconfiggere.

C’è un tempo per ogni cosa, ammoniscono i saggi. C’è un tempo, evidentemente, anche per vedere il sano realismo avere il sopravvento sull’insensato ottimismo.

Questo tempo sembrerebbe arrivato, visto che oramai tutti gli analisti sono concordi nel ritenere che anche quest’anno la crescita italiana non andrà oltre l’uno per cento. Ha vinto il realismo, hanno vinto i numeri.

Ma è davvero così ?

I numeri, anche se figli di una scienza esatta come la matematica, si possono pur sempre interpretare. Specialmente in un Paese come il nostro che non riesce a concordare praticamente su nulla.

Ed infatti gli stessi numeri assumono valenza diversa a seconda di come vengono raccontati. Con il risultato di far aumentare una confusione che rischia di regnare sovrana.

Un esempio, fra i tanti possibili.

In un anno i contratti di lavoro a tempo indeterminato, quelli che davvero ci dicono molto sullo stato reale della nostra occupazione, sono diminuiti del 29,4 per cento.

Ma a Palazzo Chigi e dintorni si preferisce porre l’accento su altri dati Istat sul mercato del lavoro secondo i quali, sempre in un anno, l’occupazione globalmente intesa è invece cresciuta di 439mila unità.

E’ proprio sul “globalmente intesa” che bisogna però chiarirsi un attimo.

Infatti entrano a statistica e dunque fanno numero anche i contratti di una settimana che, come risulta evidente, magari riescono a fare abbassare la febbre per qualche giorno ma di certo non sconfiggono la malattia.

E la malattia, nel nostro Paese, continua ad essere rappresentata dalla mancata crescita e dai ritardi, sempre più vistosi e pericolosi, che il sistema produttivo italiano sta accumulando sul fronte dell’innovazione.

Invece il dibattito sullo stato dell’economia si accende solo se si tratta di leggere, in positivo piuttosto che in negativo, variazioni percentuali che restano dello zero virgola e che ci dicono solo come sostanzialmente continuiamo a restare fermi.

Del resto non potrebbe essere altrimenti, visto che abbiamo un Prodotto interno lordo pro capite inferiore del 13 per cento rispetto alla media dei Paesi europei.

E’ ormai evidente che il pacchetto di riforme messo in campo dal governo, a cominciare dal Jobs act, non è bastato e non basta a farci innestare le marce alte. Occorre altro, molto altro. Occorre qualcosa che superi la logica degli incentivi a pioggia e faccia in modo di incoraggiare la creazione di nuovi contratti di lavoro piuttosto che la loro trasformazione.

Occorre una sinergia tra forze diverse che veda la politica in grado di mettere le imprese nelle condizioni di lavorare meglio e con più sicurezze, smettendola di imputare agli imprenditori una loro presunta scarsa propensione al rischio che è invece smentita dai fatti, oltre che dai numeri. Il sistema imprenditoriale italiano, anche quello rappresentato dalle piccole e medie imprese, ha infatti continuato ad investire anche nei periodi più bui di questa lunga crisi.

Occorre un piano di investimenti pubblici che migliori le infrastrutture del Paese, dai trasporti alla messa in sicurezza di edifici pubblici e privati, guardando con attenzione anche a quanto si muove sul fronte delle energie alternative.

Occorre una riforma del mercato del lavoro che sia in grado di contemperare l’esigenza di stabilizzare i profili più alti e competenti con la necessità di promuovere il primo impiego e la formazione dei giovani.

Occorre tenere desta l’attenzione su un debito pubblico che continua a crescere indisturbato e che lasceremo in eredità alle generazioni future, alimentando l’idea di un Paese prigioniero di egoismi generazionali.

Occorre insomma uno sguardo lungo, capace di andare oltre il contingente e non modulato invece sulle più vicine scadenze elettorali.

Altrimenti si continuerà ad assistere ad un dibattito inerte, nel quale i numeri saranno sempre troppo miseri e le parole suoneranno sempre più sprecate e vuote.

L’Italia ha bisogno di numeri migliori sul fronte della crescita e dell’occupazione. Semplicemente, questo, numeri migliori.

Non di parole che provino a piegare i numeri alle esigenze di parte.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI