Un nuovo patto sociale per il rilancio del Paese

___________________________________di Dino Perrone

 
Il sistema delle relazioni industriali resta il terreno sul quale si gioca il futuro della nostra economia. Ma anche dopo l’accordo raggiunto su contratti e rappresentanza occorre superare una logica divisiva che tende ad allontanare nel tempo la soluzione dei problemi
 
La storia politica ed economica italiana ci ricorda che troppe volte questo nostro Paese riesce a dividersi e frammentarsi anche quando si tratta di giocare una importante partita di interesse nazionale.
Proprio per questo sono da accogliere con soddisfazione segnali che vanno controtendenza. In queste ultime settimane è stato possibile registrarne almeno un paio estremamente significativi
Il primo è rappresentato dall’unanime consenso che in Italia, ha accompagnato la nomina di Mario Draghi a governatore della Banca Centrale Europea. Un successo del Paese, non tanto di questa o quella parte politica.
L’altro è costituito dall’accordo unitario raggiunto fra sindacati e Confindustria su contratti e rappresentanza, accordo che apre la strada ad una nuova stagione delle relazioni industriali.
Segnali significativi, ripeto, ed in controtendenza.
La complessità delle questioni in campo richiede infatti una condivisione degli obiettivi che mostri finalmente la faccia matura di quella che ancora oggi, pur in mezzo ai morsi della crisi, resta comunque fra le prime potenze economiche sullo scenario internazionale.
In questo senso è stato appunto  incoraggiante aver potuto registrare una più diffusa consapevolezza, anche in ambienti in passato refrattari all’argomento, sulla necessità che nel Paese si faccia riferimento ad una grammatica più aggiornata nel sistema delle relazioni industriali che contribuisca a superare una visione divisiva ed escludente favorendo, al contrario, una maggiore partecipazione e di un più avvertito senso di responsabilità.
Ritengo non siano lontani dal vero quanti affermano che, per ridare slancio al Paese, occorre superare anzitutto la logica dell’antagonismo ideologico e del conflitto permanente. Si tratta infatti di una strada che non conduce lontano e che, anzi, rischia di rivelarsi rovinosa per tutti. Per le imprese, per i lavoratori, per il sindacato. Ed anche per la politica.
Questo, beninteso, non significa voler annacquare le differenze e le ‘visioni’ divergenti sul modello di società che, a partire proprio dall’economia, legittimamente ognuno ha in mente di proporre e di costruire.
Significa, più ‘laicamente’, avere la capacità di individuare, pur in mezzo alle diversità, i punti di contatto, le convergenze, le finalità ultime che portino al superamento dell’esistente con l’obiettivo dichiarato di migliorarlo.
Un terreno di verifica di questa nuova consapevolezza continua ad essere rappresentato, a mio avviso, proprio dalla possibilità di aumentare i livelli di contrattazione. Non più solo quello nazionale, ma anche quelli aziendali o, come pure si dice, territoriali.
E’ una questione sulla quale nei mesi scorsi si è registrata anche la divisione del mondo sindacale. Ma è ‘la questione’, attorno alla quale ruota tutto il discorso relativo alla consapevolezza di un Paese che i problemi, una buona volta, deve decidere se risolverli oppure limitarsi semplicemente ad elencarli.
L’unica strada per incrementare i salari è rappresentata da un aumento della produttività. E la produttività può essere favorita solo da regole certe, capaci da un lato di leggere i cambiamenti sociali ed economici in atto e dall’altro di attrarre maggiori investimenti.
E la certezza delle regole, a mio avviso, poggia necessariamente proprio su una contrattazione collettiva che veda possibilmente aumentare, e non decrescere, i livelli di intesa.
Non si tratta certo di voler sminuire il valore, l’importanza, l’irrinunziabilità della cornice normativa nazionale. Al contrario.
Si tratta di affiancare a questa cornice di garanzia un tipo di contrattazione più legato al territorio ed alla singola realtà aziendale. Nei luoghi cioè dove si crea lavoro e si produce ricchezza. Per tutti.
Una contrattazione che parta dalle specifiche esigenze, dalle peculiari professionalità presenti nelle singole aziende.
Favorire la contrattazione decentrata, integrando ed arricchendo il contenuto dei contratti nazionali, può essere allora il segnale inequivocabile di un Paese che finalmente abbraccia il criterio di responsabilità a tutti i livelli.
Il segnale di un Paese capace di elaborare un modello sociale che non vuole mortificare i diritti dei lavoratori e le aspettative delle imprese, ma che intende mettere in campo tutti gli strumenti normativi per aiutare da un lato le imprese ad essere adeguatamente competitive e dall’altro i lavoratori a guadagnare di più facendo meglio il proprio mestiere.
Il segnale, in definitiva, di un Paese capace di elaborare un nuovo patto sociale che sia realmente inclusivo.
E questo, davvero, mi sembra un obiettivo di interesse generale sul quale tutti dovremmo poter essere d’accordo.

 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

 

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