Tradurre non sempre significa comprendere

________________________________di Dino Perrone

 

 

Da oggi un traduttore vocale ci consentirà, quando telefoniamo, di abbattere la barriera di ogni differente linguaggio. Tutti capiremo tutti. Ma riusciremo anche ad accettare chi è diverso da noi ? Questa risposta, tuttavia, non chiediamola alla tecnologia.

 

 

La notizia è di quelle che non possono lasciare indifferenti.

D’ora in poi sarà possibile effettuare una videochiamata e conversare con un interlocutore di un qualsiasi altro Paese senza più neanche la barriera di un differente linguaggio.

Una sorta di torre di Babele alla rovescia, quindi. Tutti capiremo tutti.

Questo grazie alla Microsoft ed al suo Skype Translator, un sistema che apprende in automatico i diversi modi di parlare delle persone, prima  analizzandoli e confrontandoli con milioni di campioni audio registrati, poi trasformandoli in un testo riprodotto vocalmente nel nostro idioma.

Possiamo quindi telefonare e conversare direttamente in italiano anche se il nostro interlocutore si trova dall’altra parte del mondo e parla una lingua diversa. Ci intenderemo immediatamente perché lui ci ascolterà nella sua lingua e noi lo ascolteremo nella nostra.

Il segreto è nel sofisticatissimo software che si occupa di svolgere in tempo reale non solo il lavoro di traduzione, prima in forma scritta attraverso una chat e poi in forma vocale, ma anche di comprendere  dalle singole parole il contesto di una frase.

Siamo quindi in presenza di un software capace, in qualche misura, persino di auto-apprendere perché più viene testato dagli utenti e più si affina nelle sue capacità di traduzione simultanea.

L’italiano è la quarta lingua scelta da Microsoft, dopo inglese, spagnolo e cinese, per mettere alla prova questo suo traduttore. Una decisione che tiene conto non tanto dell’insita bellezza del nostro idioma quanto del fatto che da noi è presente una folta comunità che già usa Skype per telefonare ed è appassionata ad ogni forma di tecnologia digitale e comunicativa. Scelta esclusivamente strategica, quindi, come per ogni colosso aziendale che si rispetti.

Che dire ?

In pochi decenni siamo passati dalla lettera da imbustare e spedire alla posta elettronica, dal telefono grande come una scatola a quello portatile ed ultrasottile, dalla telefonata con il gettone o in teleselezione alla videochiamata.

Il progresso tecnologico ci toglie il respiro, non ci consente pause, insegue e scavalca i nostri pensieri e desideri, ci lascia indietro anche quando abbiamo l’illusione di appaiarne il passo. Ci impone di abituarci in fretta ad ogni cambiamento, per non venirne travolti.

Certamente questa futuristica applicazione ci gioverà molto sotto l’aspetto pratico ed individuale, velocizzando la comunicazione.

Ma la tecnologia, da sola, può eliminare davvero l’ostacolo delle differenze, e diffidenze, rappresentato dai diversi linguaggi, tutti espressioni di diverse culture ?

Francamente credo di no.

Continuo a ritenere che ci voglia dell’altro, di ben altro. Ci vuole cioè la capacità non solo di intendersi, come è possibile fare con questo traduttore simultaneo, ma anche di comprendersi.

E comprendersi è molto più difficoltoso che intendersi.

Occorre capire e penetrare i contesti culturali che sono dietro ad un linguaggio, scavare in profondità. Altrimenti sfuggiremo sempre alla domanda di fondo. Siamo cioè pronti, in questa nostra società ipertecnologica e smarrita, ad accettare l’altro, chi è diverso da noi ?

Certamente, proprio grazie alla tecnologia, possiamo ascoltarlo. Ma siamo poi capaci di comprenderlo davvero ? Siamo disposti a tanto ?

Questa è una risposta che non possiamo affidare alla tecnologia. E’ una risposta che riposa dentro di noi, nel profondo del nostro essere. Ed è una risposta che stenta a trovare voce, a venire fuori, a farsi comportamento individuale e collettivo.

Certo ogni frontiera è fatta per essere abbattuta, ogni muro per venire scavalcato, ogni linea per essere nuovamente tracciata più avanti.

Ma alla fine, se ci affidiamo esclusivamente alla tecnologia, cosa rimane dell’uomo e della sua umanità ? Solo la sua versione tradotta in un algoritmo.

E francamente, per quanto sofisticato possa essere, un algoritmo mi sembra poco.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI