Bene, non benissimo, meglio che niente

________________________________di Dino Perrone

 

 

Finalmente tornano ad arrivare numeri confortanti in tema di occupazione. Merito anche del Jobs Act. Ma la strada per rendere nuovamente competitivo il nostro Paese appare ancora molto lunga e troppo legata alle contingenze internazionali

Le confortanti statistiche sull’aumento del numero dei contratti a tempo indeterminato, che stanno facendo gonfiare il petto a più di un esponente dell’attuale maggioranza di governo, possono risultare addirittura pericolose.

Sarebbe quasi meglio non leggerle ed andare avanti a lavorare.

I numeri positivi di queste ultime settimane, infatti, non debbono distrarre il Paese dal continuare a perseguire con crescente convinzione quello che rimane l’obiettivo vero ed irrinunziabile. Obiettivo costituito da una ripresa realmente duratura e meno legata alle contingenze, favorevoli o meno, del panorama interno ed internazionale.

Sotto questo punto di vista, la strada da percorrere è ancora tanta e non è il caso, oltre che di gonfiare il petto, neppure di distrarsi troppo. Certo è probabile che questa timida scossa positiva sul fronte occupazionale sia anche l’effetto del Jobs Act varato dal governo in carica. Ma occorre molto di più per dire che abbiamo messo alle spalle ogni ulteriore pericolo.

Siamo infatti ai primi passi di un percorso che si annunzia ancora irto di difficoltà e nel quale non è del tutto scongiurato il pericolo di qualche rallentamento o addirittura di una poco comprensibile inversione di rotta.

Del resto rimane sempre piuttosto vistoso lo scarto tra quanto annunciato, a volte con una disinvoltura persino eccessiva, e quanto finora realizzato dal governo Renzi.

Con l’Expo di Milano ormai alle porte, bisogna avere in mano qualcosa in più di qualche timido ed incerto segnale di ripresa per avere la possibilità concreta di schiodarsi, in tempi ragionevolmente brevi, dal 49° posto nella classifica mondiale della competitività.

Un tipo di ranking, questo, che ci mette innanzi alle nostre perduranti difficoltà come sistema Paese e che chiama pesantemente in causa la pervicace latitanza di un credibile progetto di largo respiro che sia capace di cambiare veramente le cose.

Si sono persi troppi anni e troppe occasioni sono andate sprecate. Troppi treni sono passati mentre noi neppure riuscivamo a comprendere su quale binario posizionarci.

Questo è comunque il passato, “deve” essere il passato. Un passato sul quale vale la pena soffermarsi solo per emendarsi dagli errori che lo hanno caratterizzato e per evitare che esso, in qualche modo, invelenisca anche il presente ed il futuro di questo Paese.

Adesso sembra esserci un’aria nuova, è vero. Non a caso, in queste settimane l’Istat ha registrato un “deciso miglioramento” del livello di fiducia delle imprese, che a marzo ha toccato il valore più alto dal 2008. Lo stesso vale per il livello di fiducia dei consumatori che hanno migliorato i propri giudizi sulla condizione economica generale.

Tutti segnali positivi, certo.

Ma da qui a dire che il clima è realmente cambiato ce ne corre. Diciamo che siamo alle prese con una primavera ancora incerta, nella quale possono convivere sia il caldo annunzio dell’estate che il freddo colpo di coda dell’inverno.

Meglio quindi, come detto, continuare a lavorare per cambiare il Paese, senza farsi distrarre troppo neppure dalla più confortante delle statistiche.

Ed allora è opportuno tenere a mente che per rendere di nuovo competitiva l’Italia è necessario attuare in maniera compiuta tutte quelle riforme che da troppo tempo mancano per rimettere in carreggiata un sistema che ormai mostra la corda.

Riforme che riguardano non solo gli assetti istituzionali ma anche quelle a più diretto impatto sul sistema economico.

Riforme per semplificare, sveltire, innovare.

Riforme che rendano più agevoli i percorsi formativi ed occupazionali, che colgano con la dovuta attenzione appunto i segnali di ritrovata fiducia delle nostre imprese e dei consumatori.

Bisogna dare atto che il governo Renzi finora ha fatto qualcosa. Forse ha fatto bene, certo non ha fatto benissimo, di sicuro ciò che ha fatto è meglio di niente.

Bene, non benissimo, meglio di niente.

I nostri sembrano dei giudizi vergati su una pagella scolastica. Ed in fondo un po’ necessariamente lo sono. Il governo e la politica nel suo complesso, del resto, non possono mai sottrarsi al giudizio dei cittadini.

Bene, non benissimo, meglio di niente, ripetiamo.

Ma non possiamo né dobbiamo accontentarci. Un Paese costretto a rallegrarsi se quanto fatto è meglio di niente è purtroppo anche un Paese che vale poco più di questo niente.

Noi invece ci battiamo per una Italia che valga moltissimo e possa consegnare, a testa alta e con legittimo orgoglio, un futuro di speranze e sviluppo alle nuove generazioni.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI