Expo 2015 e il valore dell’accoglienza

________________________________di Dino Perrone

 

 

Ha preso il via l’esposizione universale di Milano. Una grande occasione per il nostro Paese. Ma anche per riflettere sul fatto che, mai come in passato, nutrire il pianeta vuol dire anche sapere accogliere le persone che lo abitano.



Ora che Expo 2015, pur con qualche affanno, ha finalmente tagliato il nastro dell’inaugurazione, c’è solo da augurarsi che perdano definitivamente consistenza certe polemiche speciose degli ultimi mesi e si faccia in modo che questo evento planetario possa arrecare benefici duraturi al nostro Paese.

Nei prossimi sei mesi, appunto grazie ad Expo 2015, Milano e l’Italia saranno infatti al centro dell’interesse mondiale di turisti ed operatori.

Un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, più di 140 Paesi e Organizzazioni internazionali coinvolti, oltre 20 milioni di visitatori attesi. Tema dei lavori il problema del nutrimento dell’uomo e della Terra  mediante lo sviluppo di tecnologie capaci di garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri. Tutto ciò attraverso un dialogo tra i protagonisti della comunità internazionale sulle principali sfide dell’umanità.

L’occasione ideale per rilanciare l’immagine di un Paese, il nostro, che vuole tornare ad attrarre la fiducia degli investitori internazionali, mostrando al mondo intero la propria voglia di riscattarsi e di ritrovarsi.

Tuttavia invita a riflettere la circostanza che l’esposizione universale, incentrata come detto sulle tecniche più adeguate per nutrire il pianeta, sia ospitata in Italia proprio quando sulle nostre coste si riversano nuove e più laceranti povertà.

Nutrire la Terra vuol dire nutrire le persone che vi abitano. Sfamarle, certo. Ma anche accoglierle allorquando versano in uno stato di necessità. Un dovere al quale un continente di mezzo miliardo di anime come l’Europa non può certamente sottrarsi. Pena la sua definitiva perdita di senso.

Allora anche gli eventi che andranno in scena a Milano, da qui a fine ottobre, potranno essere utili per avviare una riflessione sul futuro comune che riguarda i Paesi del nostro continente, chiamati a distribuire, ciascuno in proporzione alle proprie forze e risorse, il peso di una migrazione dalle zone povere della Terra sollecitata non tanto dalla ricerca di un benessere tutto da verificare ma dall’esigenza di sfuggire alla fame, alle guerre ed alle carestie.

La ricorrente tentazione di “mostrare i muscoli”, sia pure per fini umanitari, in passato ha già prodotto disastri. Quegli stessi disastri a cui può condurre una ossessione per la sicurezza che rivela, oltre che profondi istinti egoistici, una nostra malcelata e radicata insicurezza.

In questo senso desta più di una perplessità l’idea di contrastare il flusso migratorio che si abbatte sulle nostre coste provando ad affondare i gommoni della morte nei porti di partenza. Eliminare i barconi con azioni mirate, sia pure sotto l’egida dell’Onu, potrebbe innestare una pericolosa spirale di risentimenti e ritorsioni in quelle aree che sarebbero direttamente coinvolte.

E neppure convince l’adozione di una politica di ciechi respingimenti.

La storia del mondo è lì a dimostrarci che tutti i muri prima o poi crollano ed anche i confini più impenetrabili si rivelano porosi.

Il problema è certamente complesso. Ma non altrettanto complesse possono essere alcune soluzioni che, se adottate, consentirebbero di alleviare la pressione migratoria che, di fatto, attualmente grava in larghissima misura solo sull’Italia.

In questo senso è particolarmente preziosa la presa di posizione della Santa Sede che, ancora una volta, ha invitato a fare tutto quanto necessario per mettere i Paesi da cui proviene la pressione migratoria nelle condizioni di non costringere i propri cittadini a fuggire.

Colpire non i barconi, quindi, ma colpire e rimuovere le cause della povertà direttamente lì dove esse si manifestano. Aiutare la parte meno prospera e felice del nostro mondo con fondi e tecnologie, con programmi di sviluppo, con una idea di condivisione che superi ogni gretto egoismo.

Ho parlato di un dovere dell’accoglienza che grava su tutti i Paesi dell’Unione Europea. Questo dovere certamente deve essere declinato con il corrispondente diritto alla sicurezza ed alla pace per quanti accolgono i migranti all’interno dei propri confini nazionali.

Ma, oltre a questo diritto ed a questo dovere, vi è un valore da cui non è possibile prescindere.

Ed è il valore della persona, di ogni persona.

Un valore che, paradossalmente, rischia di venire offuscato proprio dinanzi alle dimensioni delle ricorrenti stragi di migranti, i cui numeri raggelanti rendono difficile concentrarsi sulle storie individuali che sono celate dietro ogni singola tragedia.

Se riusciamo a non parlare solo di numeri, se proviamo a ricordare che abbiamo a che fare non con freddi numeri che fanno statistica ma con persone in carne ed ossa, ciascuna nutrita dagli stessi bisogni e dalle stesse speranze che abbiamo anche noi che non viviamo nella parte “sbagliata” del Pianeta, possiamo salvaguardare questo valore ed avviare, in tal modo, una credibile soluzione al problema.

Non può esservi alternativa. Se infatti  viene meno il valore della persona, dentro e fuori i confini della nostra Europa, verrà meno la nostra capacità di conservare uno sguardo umano su certe tragedie e verremo meno anche noi.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI