Tra terremoti ed immobilismo

___________________________________di Dino Perrone

 

 
L’Italia intera si stringe alle genti dell’Emilia devastata dal sisma. L’ennesima tragedia di un Paese che si sfarina sotto i colpi della natura e che l’Istat descrive come socialmente fermo e diseguale da troppi anni.

Morti a decine, sfollati a migliaia. Case distrutte, vite sconvolte. Dolore che si mischia a rabbia. Ancora una volta il nostro Paese è costretto a fare i conti con la sciagura del terremoto.
Dopo l’Abruzzo, è toccato all’Emilia. Come in passato è stato per San Giuliano di Puglia, per la Campania, e prima ancora per il Friuli e la Sicilia.
Di nuovo lutti, lacrime, disperazione. Di nuovo macerie, materiali e psicologiche. Con le seconde che sono sempre più difficili da rimuovere delle prime.
E’ il momento di essere vicini all’Emilia ed alle sue genti. Alle sue famiglie ed alle sue aziende. Con gesti di concreta solidarietà, da parte di tutti.
Se nella tragedia dell’Abruzzo a colpire fu soprattutto la morte di tanti studenti universitari dovuta al crollo dell’edificio che li ospitava, stavolta a destare sconcerto ed a porre molti interrogativi è il destino crudele riservato a tanti lavoratori, molti dei quali stranieri, che sono periti all’interno delle fabbriche che non hanno retto alla seconda, squassante, ondata sismica. A conferma di come, in Italia, il lavoro sia sempre a rischio.
Strano e sfortunato Paese davvero, il nostro.
Un Paese che paga ancora una volta un tributo troppo alto non solo alla sua gracile conformazione territoriale ma anche al suo persistente malgoverno. Infatti, dinanzi alla tragedia dell’Emilia, risulta sempre più difficoltoso parlare solo di semplice fatalità.
Certo, i terremoti non si possono prevedere. Ma questa non è affatto una buona ragione per non avviare una seria politica di prevenzione che attenui i rischi connessi a questo tipo di calamità.
Tutta l’Italia è a rischio sismico. Siamo un Paese ballerino e fragile. Non essere capaci di mettere in sicurezza il territorio è appunto una prova palese di malgoverno.
Un Paese, ripeto, strano e sfortunato. Perché ai devastanti danni prodotti dai terremoti che periodicamente  si accaniscono sulle nostre genti si sommano quelli, altrettanto squassanti, provocati da un certo tipo immobilismo dell’intero sistema sociale.
Immobilismo che rende l’Italia piena di sbreghi e lacerazioni, coperti a malapena da cerotti di ogni tipo.
Una Italia che però, proprio a furia di ricoprirsi di cerotti, rischia in maniera seria di ingessarsi definitivamente.
Ce lo conferma il Rapporto annuale 2012 dell’Istat che, tra i numerosi argomenti trattati, ha dedicato una particolare attenzione proprio al tema della mobilità sociale intergenerazionale, denunziando un netto peggioramento delle opportunità di riuscita sociale e occupazionale dei giovani.
Molti di loro, seppure adeguatamente preparati ed istruiti, hanno un lavoro che li colloca in una classe sociale più bassa di quella dei loro padri.
Un processo, questo, inverso a quello che aveva caratterizzato per tutto il ventesimo secolo la mobilità sociale in Italia scandendo i tempi della crescita economica. Allora si trattava di una mobilità in salita, di un ascensore che consentiva anche a quanti provenivano dalle classi sociali meno elevate di raggiungere i piani alti della società italiana. Adesso, invece, si rischia un po’ tutti di ruzzolare giù per i gradini.
Il Rapporto Istat su questo è impietoso e dice a chiare lettere che le persone che oggi hanno un’età compresa tra i 40 e i 25 anni rappresentano la prima delle generazioni nate nel corso del Novecento a rivelarsi impossibilitata a migliorare la propria posizione sociale rispetto a quella dei propri genitori. 
«La probabilità dei figli della borghesia di permanere nella loro classe di origine è maggiore della probabilità di accesso da parte dei figli provenienti dalle altre classi. Solo l’8,5% di chi ha un padre operaio riesce ad accedere a professioni apicali, quali dirigente, imprenditore o libero professionista. La classe sociale continua a influenzare i percorsi formativi dei figli». Questo scrive l’Istat.
Parole che suonano come condanna per  quanti non si accorgono di stare costruendo un Paese non solo immobile, ma anche diseguale e profondamente ingiusto. Un Paese più medievale che europeo, privo di slanci, di ambizioni, di emozioni.
Un Paese nel quale molti giovani sono costretti ad accontentarsi, quando riescono a trovare un lavoro, di essere collocati in posizioni economicamente e socialmente poco appetibili.
In tal modo la società non si muove, non cresce, non respira. E questo immobilismo è più devastante di qualsiasi terremoto perché si abbatte esclusivamente sulle persone. Ne devasta lo spirito.
Questa immobilità sociale è il frutto avvelenato di un sistema che non promuove e non premia le capacità individuali e di un mercato del lavoro poco meritocratico nel quale hanno un peso predominante le reti familiari.
Serve più meritocrazia nella selezione per le varie posizioni occupazionali. Questo lo dicono in tanti. Ma servono anche politiche pubbliche per emancipare i giovani dalla troppo lunga dipendenza materiale dalla famiglia d’origine.
Contro questo immobilismo servirebbe insomma una specie di terremoto. Un terremoto diverso, dagli effetti positivi e ricostruttivi.
Invece, questo nostro strano e sfortunato Paese deve fare i conti sempre e solo l’altro terremoto. Proprio quello che ha purtroppo devastato l’Emilia.
 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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