Il momento di reagire

___________________________________di Dino Perrone

 

 
Il protrarsi della crisi, secondo alcuni analisti, può condurre ad una crisi sistemica densa di scenari inediti e drammatici per il Paese. Per scongiurare questa eventualità, occorre uno sforzo comune che superi incertezze e ritardi di un ceto politico pronto a dividersi su tutto

Continuano ad arrivare pessime notizie per l’intero comparto produttivo italiano.
Gli ultimi rilievi statistici ci dicono che il nostro Paese ha perso quota nella classifica internazionale dei paesi produttori. Siamo scivolati all’ottavo posto, scavalcati in rapida successione da Brasile, India e Corea del Nord in una classifica che vede saldamente nelle prime posizioni Cina, Stati Uniti, Giappone e Germania.
Del resto, c’è ben poco da meravigliarsi.
Sono ormai anni che le nostre imprese boccheggiano. Ne mancano all’appello ben trentamila, considerando il saldo fra iscrizioni e cessazioni verificatesi nel triennio 2009-2011. La produzione e i consumi sono al palo, la domanda interna ristagna anche a causa della bassa redditività delle famiglie, la cassa integrazione è in preoccupante aumento. Alla luce di tutti questi elementi negativi, davvero c’è ancora qualcuno capace di sorprendersi se poi giungono notizie sconfortanti circa la tenuta generale della nostra economia ?
E’ anzi ovvio, in questo quadro, che comincino ad essere in molti coloro che temono che il nostro Paese sia destinato a fare i conti con una crisi sistemica capace di aprire scenari inediti e drammatici.
I danni prodotti dal recente terremoto in Emilia, che stanno mettendo a rischio circa diecimila posti di lavoro, rappresentano solo l’ultimo anello di una catena di situazioni negative che rischia di stritolare l’intero apparato produttivo del Paese.
Se è vero che c’è un momento per tutto, ebbene è proprio questo il momento di reagire. Con forza, con determinazione, con efficacia.
Una reazione che deve mettere in campo tutte le componenti di un Paese che, nonostante i continui colpi avversi, mantiene ancora intatte tutte le sue eccellenze.
Penso al primato mondiale che ancora è possibile vantare nel comparto tessile, penso inoltre a quei segmenti produttivi a più alta tecnologia. Penso infine alla rete capillare delle piccole imprese che rispondono al meglio alle necessità del proprio territorio di appartenenza.
I ‘fondamentali’, insomma, nonostante tutto restano buoni. E non è poco, in un quadro internazionale che invece vede predominare le tinte fosche e presenta molteplici fattori di erosione anche in quelle economie che si presentano più solide della nostra.
Da questo occorre ripartire, per suscitare un rinnovato orgoglio ed una più avvertita consapevolezza che la battaglia a tutela della competitività delle imprese non è la battaglia dei singoli imprenditori e dei lavoratori ma di tutto il Paese.
Tuttavia, per salvaguardare le nostre eccellenze, per fare in modo che esse non restino come bellissimi fiori riusciti miracolosamente a spuntare nel bel mezzo di un pantano, per consentire invece che a queste eccellenze se ne affianchino altre, bisogna por mano a quegli interventi che finora anche questo governo dei tecnici non è riuscito a mettere in atto.
Si è tutti ancora in attesa della cosiddetta ‘fase due’, di quello che dovrebbe essere il secondo tempo dell’azione del governo Monti. Quello finalmente orientato in maniera concreta alla crescita, dopo la doverosa attenzione rivolta alla messa in sicurezza dei conti pubblici.
Si continua però a dire che mancano risorse adeguate per favorire la crescita.
Questo discorso, per meglio dire questa giustificazione a mio avviso regge solo in parte. Infatti, anche in questi mesi difficili, potevano essere varate misure a basso impatto economico che avrebbero certamente rappresentato una scossa salutare alla nostra fin troppo ingessata struttura economica.
Mi riferisco in particolare al più volte auspicato effettivo snellimento delle procedure burocratiche, oggi troppo lunghe, tortuose e costose, magari accompagnato da un quadro normativo finalmente più leggero e puntuale.
Chi vuole investire ha bisogno di certezze, sia sulle regole che sui tempi. Nel nostro Paese queste certezze, oggi, troppo spesso mancano. E l’intero sistema ne soffre.
Sarebbe bastato già questo, basterebbe ancora questo per ridare ossigeno all’economia ed alle imprese. Perché non lo si è fatto finora, perché ancora si ritarda ?
Intanto, anche in questi giorni drammatici, assistiamo ancora a troppi baloccamenti, a troppi inutili bizantinismi, a vertici convocati in tutta fretta dai quali non emergono sostanziali novità. Molti sembrano infatti già orientati a guardare cosa si troverà nelle prossime urne elettorali piuttosto che ad occuparsi dei fermenti che oggi scuotono il Paese.
A tutto questo stato di cose, se permettete, l’Acai continua a non rassegnarsi. Perché, come detto, c’è un tempo per tutto. E questo, come mai in passato, è il tempo delle scelte di campo. Del decidere da che parte stare.
L’Acai continuerà a stare dalla parte del Paese, avendo  ben chiaro l’orizzonte ideale e valoriale che ci consegna la nostra storia associativa e soprattutto la dottrina sociale della Chiesa.
E stare dalla parte del Paese vuol dire appunto stare dalla parte dei lavoratori e delle imprese. Di quanti cioè investono e lavorano, giorno per giorno, tenacemente. Con coraggio e con orgoglio. Con generosità e spirito di condivisione. Per non lasciare sguarnito l’ennesimo varco nel quale possono introdursi quegli elementi che sempre più spesso minano la coesione e la solidarietà.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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