Se Roma piange, Bruxelles non ride

___________________________________di Dino Perrone

Occorre riscrivere le regole comunitarie di accesso al credito, altrimenti le piccole imprese rischiano il tracollo. Lo sostiene anche Confindustria, affiancandoci in una battaglia da noi avviata in tempi non sospetti.

Cari associati,
nelle scorse settimane l’allarme sulla scarsa liquidità delle imprese è arrivato sul tavolo dell’Unione Europea.
Merito di Emma Marcegaglia, leader di Confindustria, e del suo omologo tedesco, Hans Peter Keitel, numero uno della Bundesverband der Deutschen Industrie, che in una lettera congiunta al presidente della Commissione Europea ed al presidente di turno del Consiglio europeo, hanno  sottolineato i rischi che corrono le imprese di Italia e Germania che sempre più spesso si sentono dire no agli sportelli delle banche.
Nella missiva Marcegaglia e Keitel hanno denunziato lo stato di difficoltà soprattutto delle piccole e medie imprese, le più penalizzate dalla rigida applicazione delle regole di Basilea 2, entrate in vigore due anni orsono, che determinano l’erogazione del credito su rating automatici che, in tempi di crisi, hanno finito col ridurre drasticamente l’offerta di finanziamenti alle imprese.
Detto in parole povere, affinché una istituto bancario possa erogare credito ad una impresa, bisogna preliminarmente stabilire il grado di rischiosità dell’erogazione e se lo stesso è in linea con i parametri di Basilea 2.
Ciascuna impresa, pertanto, si vede assegnare dalle banche un rating di merito del credito che, in molti casi, è però oggettivamente penalizzante. La Confindustria italiana e quella tedesca chiedono quindi un allentamento dei requisiti patrimoniali, rivedendo i metodi di valutazione del rischio per facilitare l’accesso al credito.
Richiesta giustissima, anche se forse un po’ tardiva.
Da tempo, infatti, le piccole e medie imprese hanno lanciato l’allarme sugli effetti drammatici che la scarsa liquidità potrà avere sugli investimenti e l’occupazione nel nostro Paese. Allarme troppe volta sottovalutato e che oggi, finalmente, trova anche nella strategia di Confindustria una sponda autorevole.
D’altronde non potrebbe essere altrimenti, considerando le caratteristiche peculiari del nostro sistema produttivo.
Il 90% delle imprese italiane impiega meno di dieci addetti. La gran parte di esse fattura meno di cinque milioni di euro. E’ proprio su di esse, su questo effervescente reticolo di aziende con ambito locale e distrettuale, che in questi mesi più duramente si è accanita la crisi. Abbandonarle al loro destino, significa far barcollare l’intero comparto economico del Paese.
E’ quanto andiamo sostenendo da tempo, invitando i protagonisti della vita politica ed economica italiana a riconoscere il ruolo trainante delle piccole e medie imprese, varando provvedimenti e studiando strategie capaci di favorirne le possibilità di espansione mediante un più agevole accesso alle risorse creditizie.
Il nostro Governo, nel periodo più acuto della crisi finanziaria, è stato capace di mettere al riparo il comparto bancario che in altri Paesi ha invece rischiato il tracollo. Di ciò occorre darne atto con soddisfazione. Ora tuttavia è necessario avviare una nuova fase, nella quale si assicurino alle imprese migliori condizioni di agibilità. A partire, appunto, dall’accesso al credito.
Ma Roma, da sola, non può bastare.
La moratoria sui debiti delle imprese verso gli istituti bancari potrà dare un po’ di respiro, ma sembra da ripensare tutta la strategia economica del G-20. Da più parti si sollecita, infatti, un superamento in positivo delle regole di Basilea 2 che faccia uscire l’intero sistema dall’attuale stretta creditizia.
Tutto ciò è la conferma che ormai le politiche economiche hanno assunto una dimensione sopranazionale, per cui i soli interventi dei governi locali non bastano ad assicurare la stabilità del sistema.
I maggiori analisti sono concordi nel ritenere che ci troviamo dinanzi alla più impressionante crisi economica e finanziaria degli ultimi decenni. Servono risposte eccezionali dinanzi a situazioni eccezionali, hanno scritto giustamente Marcegaglia e Keitel nella loro lettera ai vertici dell’Unione Europea.
Il problema è che però, come spesso avviene a Roma, neppure dalle parti di Bruxelles sembrano attrezzati per misurarsi con situazioni eccezionali.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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