Beata ignoranza, si diceva una volta…

___________________________________di Dino Perrone


E maledetta indifferenza, dovrebbe dirsi oggi dinanzi ai primi risultati dei test di ammissione alle facoltà universitarie italiane che hanno registrato incredibili lacune delle aspiranti matricole. Il tutto, appunto, nel sostanziale disinteresse di quanti dovrebbe invece preoccuparsi


Cari associati,
sapete dire cosa significano ‘procrastinare’, ‘refuso’, ‘velleità’  ? Sapete cosa sono Finmeccanica e la Cgil ? Potete dire quale sia attualmente la principale esportazione dell’Italia ?  Conoscete a quale Paese appartiene la penisola istriana ?
Non sentitevi in colpa se a qualcuno di questi innocui interrogativi non avete saputo rispondere con prontezza ed esattezza.
Siete infatti in abbondante, anche se non ottima, compagnia.
Quelli sopra elencati sono infatti i quesiti per i test di ammissione alle università italiane che hanno registrato il maggior numero di risposte sbagliate da parte dei neodiplomati del nostro Paese.
Qualche dato, giusto per spargere un po’ di sale su una ferita che in troppi tendono ancora a sottovalutare. A Palermo, nel test di ammissione alla facoltà di Giurisprudenza, il 26% delle matricole ha debiti formativi da dover saldare nei prossimi mesi. A Bari non raggiunge la sufficienza circa il 40% dei candidati che si sono iscritti a Scienze agrarie e Tecniche alimentari. A Torino è risultato carente in matematica oltre il 15%  dei quattromila studenti che hanno fatto il test orientativo di ingegneria al Politecnico. A Firenze, alla facoltà di Economia, una matricola su quattro non ha superato il test di ammissione, mentre alla facoltà di Lettere la percentuale di fallimenti è arrivata addirittura al 50%. A Genova siamo saliti sino al 55% di bocciati alla facoltà di Ingegneria.
Palermo, Bari, Torino, Firenze, Genova. Da questi dati emerge finalmente un Paese unito. Unito, purtroppo, dall’ignoranza delle giovani generazioni.
Questa è una pesantissima ipoteca sulle possibilità di sviluppo dell’Italia.
Quale sarà infatti il profilo della nostra futura classe dirigente se oggi è possibile arrivare a bussare alle porte delle nostra università con un simile fardello di lacune formative ?
Forse è davvero giunto il momento di fermarsi a riflettere. Tutti quanti.
E’ tempo di imporre una pausa ai ritmi parossistici e bulimici della nostra vita sociale e politica e domandarsi come sia possibile tutto questo. Come cioè sia possibile questo impoverimento culturale e lessicale di quanti vogliono accedere alle nostre università.
Come sia possibile tutto ciò nel ventre di un Paese la cui economia, sia pure in crisi, resta pur sempre fra quelle più avanzate del mondo occidentale. E soprattutto come sia tollerabile che questo avvenga in un contesto sociale che da svariati decenni ha debellato la piaga dell’analfabetismo, e che in passato ha sempre visto nell’istruzione una efficace  forma di ‘ascensore sociale’ capace di superare le disuguaglianze.
Fra le tante emergenze che trafiggono il nostro Paese, quella culturale e formativa ha la punta più acuminata, intinta nel veleno delle troppe disattenzioni da parte non solo delle istituzioni ma anche delle famiglie.
Il regista Giuseppe Tornatore ha raccontato che tra le radici evocative del suo recente poetico film ‘Baarìa’ vi è anche la storia del nonno, vecchio pastore analfabeta che però, nella Sicilia degli anni Trenta, sapeva citare a memoria interi passi dell’Orlando Furioso e della Divina Commedia. E tutt’intorno si radunava la famiglia, con i bambini a restare incantati a bocca aperta.
Un esempio di come, anche senza strumenti culturali ‘alti’, vi era nelle famiglie italiane dell’epoca una attenzione, direi quasi una venerazione per la letteratura che veniva tramandata anche oralmente alle giovani generazioni e che oggi è andata definitivamente perduta.
La cultura era vista con rispetto. L’uomo colto, per dirla con il filosofo Epitteto, era considerato davvero un uomo libero. Oggi invece il rispetto si gioca solo sul prestigio sociale. E quest’ultimo, troppe volte, è sganciato proprio dalla cultura.
Abbiamo costruito, ognuno con il suo mattone, un tipo di società nella quale mancano punti di riferimento sicuri ed esempi alti. Una società che, a furia di non comunicare, ha disimparato a parlare e prima ancora a comprendere.
Il tutto nella colpevole indifferenza di quanti dovrebbero preoccuparsi e, prima ancora, vergognarsi per questo stato di cose.
Beata ignoranza, si diceva una volta.
Ma questo tipo di ignoranza, a lungo andare, ci condurrà solo ai margini del mondo, nell’inferno del sottosviluppo.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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