Se la crisi erode la fiducia nel futuro

___________________________________di Dino Perrone

 
Persino le buone notizie, come quelle relative alla diminuzione di infortuni e decessi sui luoghi di lavoro, si prestano a letture meno entusiaste non appena se ne approfondisce l’analisi. Effetto, anche questo, della crescente depressione che attanaglia il Paese  

Agosto, in passato, era il mese in cui tradizionalmente l’Italia intera “chiudeva per ferie”, raggiungendo i luoghi di vacanza. Erano gli anni del boom economico e di un Paese almeno in apparenza felice che guardava al futuro con crescente fiducia.
Agosto, oggi, rischia invece di essere solo il mese in cui le fabbriche chiudono per non riaprire pi๠e tantissime famiglie restano in città  risparmiando anche sullo svago. Questi sono infatti gli anni in cui la crisi ha eroso pesantemente la fiducia nel futuro di un intero Paese, modificato usi ed abitudini dei suoi abitanti.
Una realtà  con la quale dobbiamo fare i conti. Una realtà  nella quale persino dati statistici oggettivamente confortanti si prestano, ad una lettura pi๠approfondita, ad analisi meno entusiaste.
Un esempio, fra i tanti possibili.
Il Rapporto annuale dell’Inail, che ha come ultima rilevazione il 30 aprile del 2013, ci descrive un Paese nel quale sono in significativa diminuzione sia gli infortuni sul lavoro che i decessi.
Il numero totale di 745mila denunce registra, infatti, una flessione del 9% rispetto all’anno precedente ed addirittura del 23% nei confronti del 2008. Per quanto concerne la distribuzione territoriale, è il Nord a presentare la maggior parte degli infortuni, seguito dal Centro e dal Sud. Tutto cià², sempre secondo le statistiche rese pubbliche dall’Inail, ha causato pi๠di dodici milioni di giornate di inabilità .
Quanto agli incidenti mortali, quelli accertati sono stati 790   di cui 409 avvenuti fuori dall’azienda. Se anche i 25 casi ancora in istruttoria fossero riconosciuti, evidenzia sul punto l’Inail, si avrebbe comunque un calo del 6% sul 2011 e del 27% sul 2008.
Dati che nel loro complesso paiono dunque confortanti. Ma che tuttavia non allontanano un dubbio di fondo del quale mi occuperಠtra breve.
Prima infatti mi sia consentita una diversa considerazione.
Quanti sono attenti alle cose dell’Acai sanno bene che il tema della sicurezza sul lavoro rappresenta uno dei principali cavalli di battaglia della nostra associazione e di questa Presidenza in particolare.
La tutela della salute dei lavoratori e l’esigenza di sempre pi๠elevati standards di sicurezza sono state al centro di molteplici nostre iniziative sul territorio e rappresentano, per l’Acai, anche la traduzione concreta dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa nel mondo del lavoro.
Ci conforta, quindi, constatare la flessione del fenomeno nel suo complesso.
Ma continueremo ad essere ancora indignati fino a quando ci sarà  anche un solo decesso causato per ragioni di lavoro. Tutto questo lo avvertiamo come un dovere civile, lo avvertiamo come persone impegnate nel sociale, lo avvertiamo come cristiani.
Se non è giusto morire per mancanza di lavoro, ed il pensiero inevitabilmente corre ai tanti suicidi registrati in questi anni, a maggior ragione non deve essere giusto continuare a morire a causa del lavoro.
In gioco è il profilo stesso della nostra società . Una società  che deve saper tutelare i suoi cittadini in tutte le situazioni.
Andare a lavorare, in Italia, non puಠessere come andare in guerra. Non puಠessere messa nel conto, cioè, anche la possibilità  di farsi male, oppure addirittura di morire.
I passi avanti compiuti in questi anni in materia di sicurezza sono indubbiamente importanti, perché consentono di avvicinarci finalmente alla media dei paesi europei.
Ma le zone d’ombra ancora persistono se è vero che il rapporto di cui parliamo evidenzia un andamento delle malattie professionali che va controcorrente segnando un incremento percentuale delle denunce pari al 10% rispetto a due anni fa. Un dato che, se confrontato con quelli registrati nel quinquennio precedente, arriva a sfiorare il 60% d’incremento delle malattie professionali.
Questo dimostra che in Italia esiste un problema che investe non solo la sicurezza ma anche la qualità  stessa del lavoro.
E qui si arriva al dubbio di fondo che rende meno lieve la lettura dei dati forniti dall’Inail.
Il dubbio cioè che a favorire la contrazione degli infortuni e dei decessi sui luoghi di lavoro sia stata anche la crisi economica.
Con sempre pi๠fabbriche che chiudono o licenziano, cioè, è inevitabile che ci siano meno lavoratori impegnati e di conseguenza anche una minore esposizione degli stessi ad ogni genere di rischio.
Credo sia doveroso avviare una riflessione su questo punto e domandarsi, quindi, se ed in quale misura la diminuzione dell’andamento infortunistico sia legata alla flessione generale del numero degli occupati e delle ore lavorate.
Dubbi di questo genere, proprio per la loro oggettiva legittimità , misurano il baratro di sfiducia nel quale rischia di precipitare il nostro Paese. Un Paese costretto oramai a non fidarsi pi๠neppure delle buone notizie.

 
 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI