Rimettiamoci in piedi, per il bene di tutti

___________________________________di Dino Perrone

 

Dall’economia alle imprese, dalla formazione alla cultura. In troppi settori l’Italia appare seduta. Immobile, senza più voglia di osare. Dov’è finito il Paese capace, in passato, di spostare sempre più avanti il prossimo traguardo ?

Cosa manca davvero al nostro Paese per tornare ad essere un protagonista indiscusso della crescita economica internazionale ?
Da ormai quindici anni il prodotto interno lordo italiano è inferiore alla media europea. Ce lo conferma anche l’ultimo report del Centro Studi di Confindustria che ha sottolineato come, a fronte di una economia mondiale ‘tornata vigorosa’ in un 2011 che si annuncia come l’anno della stabilizzazione, ‘l’Italia non tiene il passo e fatica ad andare oltre l’1% di Pil’.
Nonostante ciò, il sistema imprenditoriale continua a tenere. Restiamo pur sempre la quinta potenza mondiale ed il secondo esportatore dopo la Germania in Europa.
Allora torna il quesito iniziale. Cosa ci manca davvero per diventare attori della crescita economica a livello internazionale ?
Viene spontaneo rispondere che ci manca una adeguata politica di settore, capace di intercettare i segnali di ripresa che si affacciano periodicamente incanalandoli nella giusta direzione senza farli disperdere in mille rivoli.
Spontaneo, certo, ma anche sin troppo facile.
Questa risposta, infatti, pur cogliendo nel segno sotto tanti aspetti, illumina solo una parte di verità.
Il quesito richiede invero una analisi più articolata e complessa. Analisi che chiama direttamente in causa il tipo di Paese che stiamo costruendo e che, soprattutto, ci interroga su quale tipo di società vogliamo essere.
Oggi direi che in Italia a risultare ampiamente deficitaria, e non solo nel mondo delle imprese e dell’economia, è la voglia di migliorarsi, di cimentarsi in nuove sfide, la capacità di innalzare l’asticella da superare, lo stimolo a spostare sempre più in avanti il prossimo traguardo.
E’ come se ci fossimo seduti. Politici, imprenditori, semplici cittadini. Tutti.
Siamo fermi, convinti forse di poter ormai vivere sulla rendita accumulata da altri, da quanti hanno costruito prima di noi. E quando un Paese si ferma, è inevitabile che venga superato. Quando un Paese si ferma, comincia lentamente a morire.
Tutto ciò contrasta in maniera clamorosa con quel gusto dell’intrapresa, con quella cultura della crescita, dello sviluppo e dell’innovazione che sono stati la cifra, il tratto peculiare di una Italia che sapeva rischiare, che aveva tante idee ed il coraggio di metterle in pratica.
Dov’è finita quella Italia ? Dove si è smarrito quel Paese nel quale, a cominciare dalla scuola, erano tanti gli ‘ascensori sociali’ che consentivano a tutti di migliorare la propria posizione di partenza, purchè ne avessero la voglia e la capacità ?
Era il Paese delle mille eccellenze.
Il Paese nel quale, anche dietro lo sportello di un ufficio pubblico come nelle botteghe poco illuminate di qualche periferia, era possibile trovare una attenzione, una cura, un rispetto, diciamo anche un decoro per tutto ciò che ognuno era chiamato a fare.
Un Paese che mostrava di avere compreso che, per raggiungere obiettivi davvero importanti e duraturi, non vi sia altro che il duro lavoro, la dedizione, il rispetto delle regole. Un Paese che non cercava facili scorciatoie, né tantomeno scappatoie. Il Paese dove alla tutela dei diritti si accompagnava uno spiccato senso del dovere.
Oggi risulta difficile scorgere ancora i tratti di questo tipo di società. Oggi vi è un appiattimento verso il basso, una generalizzata incuria, una scarsità di amore per tutto quello che riguarda la collettività.
Le scorciatoie, le scappatoie sembrano essere diventate le strade maestre per raggiungere, il più in fretta possibile, ogni tipo di affermazione sociale mentre rischia di affievolirsi, proprio nel 150° anniversario dell’Unità, il senso di una comune appartenenza.
In questa situazione è evidente che le eccellenze, che pure fortunatamente ancora vi sono in ogni ambito della nostra società, costituiscono ormai l’eccezione e non la regola. I fiori che, quasi per miracolo, spuntano dal pantano.
Su questo dovremmo riflettere. Tutti quanti.
Su come invertire la rotta, riprendere il cammino nella giusta direzione. Su come ritrovare quello stimolo etico e civile necessario a migliorare le cose. A migliorare noi stessi.
Su come impedire che questo nostro bellissimo Paese cada sotto il peso insostenibile delle sue fragilità e delle sue inconfessate paure.
 

 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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