Lavoro e democrazia

___________________________________di Dino Perrone

 

Nel nostro Paese sono ancora troppo alti i livelli di insicurezza e precarietà. Ma, come insegna la vicenda dell’accordo tra Fiat e sindacati, il radicalismo e la divisione non conducono mai alla reale soluzione dei problemi.

I cancelli della Fiat di Mirafiori, per qualche settimana, non sono stati semplicemente un luogo fisico ma hanno rappresentato lo sfondo ideale di una contrapposizione aspra che ha investito non solamente il sindacato.
E la nebbia che ha immerso l’ingresso della fabbrica proprio nella notte dello spoglio delle schede del referendum cui è stato sottoposto l’accordo tra azienda e sindacati non sottoscritto dalla Fiom, è sembrata voler rappresentare l’incapacità di orientarsi dell’intero Paese.
Oggi, alla luce dell’esito referendario, è necessario che tutti contribuiscano a svilire il clima, raffreddando pulsioni che non conducono da nessuna parte. In televisione abbiamo visto bruciare le bandiere di alcuni sindacati e questo è uno spettacolo sempre mortificante per qualsiasi democrazia. Ed a maggior ragione per la democrazia di un Paese come il nostro che resta comunque fra le maggiori potenze industriali internazionali.
Tutti, sia chi in questa occasione ha vinto e sia chi ritiene comunque di non aver perso, debbono assumersi la responsabilità di voltare pagina guardando avanti. Abbandonando certo radicalismo ed una visione così scopertamente manichea destinata sempre a non essere premiata dalla realtà.
Certamente ha sbagliato chi ha inteso rappresentare il quesito cui sono stati chiamati i dipendenti della Fiat come una scelta, una contrapposizione fra il lavoro e la democrazia, come si trattasse di due variabili indipendenti.
Non è così, non può essere così, non deve essere così. Ed in ogni caso l’accordo sottoposto al vaglio del referendum non prevedeva questo.
Ma resta il principio. Un principio non negoziabile soprattutto per noi artigiani di ispirazione cristiana.
Non può esistere lavoro senza democrazia. Altrimenti non c’è vero lavoro e non c’è vera democrazia.
Oggi il nostro Paese ha certamente bisogno di più lavoro. Sono ancora troppo alti i livelli di insicurezza e di precarietà connessi al cambiamento dei modelli economici e produttivi dei Paesi più sviluppati. L’economia italiana è chiamata a maturare nuove consapevolezze e raccogliere sfide più aspre.
Ma questo lavoro, qualsiasi lavoro può essere garantito solamente aumentando i livelli di democrazia, dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Una democrazia che non abbia timore delle regole, ma che anzi sia fondata proprio sulle regole. E quindi non solo sui diritti da rivendicare, ma anche sui doveri da assolvere. Una democrazia che sia assunzione di responsabilità.
A questo è chiamato non solo il sindacato o l’azienda. A questo siamo chiamati tutti come Paese.
Tutto questo è ancora più importante considerando che, nonostante tutto, qualche segnale di ripresa comincia ad emergere anche dai dati statistici, che invece in questi mesi si sono sempre mostrati piuttosto severi circa lo stato di salute della nostra economia.
L’ultima rilevazione effettuata dall’Istat ha infatti registrato una significativa variazione al rialzo della produzione industriale, cresciuta nel novembre 2010 di oltre quattro punti percentuali rispetto ai dodici mesi precedenti.
Certo, purtroppo il saldo della variazione media negli ultimi tre mesi rispetto al trimestre precedente è ancora in negativo dello 0,7%. C’è insomma sempre il rischio che questa sia una semplice fiammata positiva destinata ad esaurirsi e che la ‘gelata’ continui ad imperversare sul clima generale del Paese.
Ma comunque è un dato da cogliere con sollievo, pur con tutte le cautele e le preoccupazioni per il persistente stato di contrazione produttiva di alcuni settori strategici, come ad esempio quello tessile e dell’abbigliamento.
Resta, e non certo sullo sfondo, proprio la questione che abbiamo affrontato in precedenza.
E’ possibile, deve essere possibile coniugare più lavoro e più democrazia, maggiore competitività e rispetto delle regole.
Altrimenti ogni passo avanti rischia di essere vanificato, ogni conquista rimessa in discussione, ogni appartenenza mortificata.
Solo rispettando davvero l’uomo si rispetta per davvero il lavoro.
Si dice che tutto quanto sia accaduto, all’interno del più noto gruppo industriale italiano come a livello internazionale, sia l’effetto della globalizzazione che impone a tutti di riposizionarsi, rivedere le strategie, elaborare scelte che divergono dal passato.
Se è vero che la globalizzazione non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall’uso che l’uomo ne fa, si deve affermare che è necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell’equità. Questo sosteneva il 27 aprile 2001 Giovanni Paolo II nel suo Discorso alla Pontifica Accademia delle Scienze Sociali.
Dieci anni dopo, ed ormai alla vigilia della sua beatificazione, le parole di Karol Wojtyla, il Papa ‘venuto da lontano’ costituiscono ancora la bussola migliore per orientare il cammino futuro dell’umanità intera dinanzi a tanti vorticosi, e spesso dolorosi, cambiamenti.
 

 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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