Diario Italiano di Dino Perrone

Quello che abbiamo e quello che manca

Cosa manca a questa nostra Italia?

Forse non è un vuoto esercizio retorico provare a rispondere a questo interrogativo. Forse, al contrario, è proprio individuando la giusta risposta a questa apparentemente banale domanda che si possono individuare le premesse per un serio discorso di rilancio di quello che una volta si sarebbe definito, complessivamente, il “sistema Paese”.

Cosa manca, allora.

Partiamo intanto da quello che c’è. Da quello che fortunatamente ancora è presente nelle pieghe di una società italiana che a volte, anzi spesso, si dimostra più avanti delle sue classi dirigenti.

C’è il talento, il genio, la creatività. Basta fare un giro in una qualsiasi bottega artigiana, nei reparti di una piccola e media azienda, in quel reticolo diffuso di cultura imprenditoriale che innerva la nostra economia. Si tocca con mano la voglia di fare, di provare, di esplorare nuove strade, anche a scapito di pochi mezzi e di molta, soffocante burocrazia. Una voglia benedetta che spesso non trova la giusta sponda nella politica, anzi che a volte proprio la politica tende inconsapevolmente a mortificare con scelte quantomeno discutibili e certamente inadeguate.

Ed a questo riguardo siate pur certi che la nostra Acai non ha alcuna intenzione di abbassare la guardia, di distogliere il proprio sguardo critico dalla Manovra economica all’esame delle Camere con il suo carico di emendamenti che ne appesantiscono il cammino. Come già evidenziato nelle scorse settimane, ci sono aspetti in questa Manovra che rischiano di mortificare interi comparti produttivi, di svilire appunto il talento, il genio e la creatività delle nostre imprese. Continueremo ad essere molto attenti, continueremo come Acai a sottolineare ogni rischio.

Cosa abbiamo ancora ? Direi una sensibilità sociale che ancora regge l’urto di un devastante egoismo collettivo che certi linguaggi della politica non fanno che alimentare, persino oltre le loro intenzioni. Una sensibilità sociale che ci ricorda una verità solo apparentemente banale. E cioè che i muri dividono ciò che è unito, laddove i ponti uniscono ciò che è separato. Ricordarlo nel trentennale della caduta del più famoso muro del dopoguerra, quello di Berlino, può essere utile a quanti, anche inconsapevolmente, vedono nella costruzione di qualsiasi tipo di muro, psicologico prima ancora che materiale, la soluzione ad ogni problema imposto dai tempi nuovi.

E quindi cosa davvero ci manca ?

Ci manca il senso della collettività, lo sguardo lungo, la visione d’insieme, l’idea di una storia comune e realmente condivisa. Siamo un Paese troppo frammentato, disperso in mille rivoli ed incapace troppe volte di ritrovarsi unito. Siamo un Paese in cui le piazze più che aggregare si contrappongono. In cui è fin troppo presente la tendenza ad individuare le colpe altrui sorvolando sulle proprie carenze. Un Paese capace di farsi male da solo e nel quale anche gli slanci di generosità visti in queste settimane dinanzi alle emergenze climatiche che, da Venezia a Matera, hanno flagellato il nostro territorio rischiano di opacizzarsi in un vortice di risentimenti ed accuse rovesciate, per meglio dire vomitate sui social.

E ci mancano, per meglio dire non sono mai abbastanza, i buoni esempi. Nella cultura, nell’impresa, nella politica. Esempi autorevoli, condivisi, attorno ai quali costruire una nuova idea di futuro.

Strano Paese, quindi, il nostro.

Un Paese dalle mille potenzialità che però ribolle come l’acqua nella pentola. Forse bisognerebbe abbassare la fiamma. Forse bisognerebbe aggiungere altra acqua. Certamente bisognerebbe fare qualcosa, anzi molto.

Possiamo permetterci poche cose, infatti. E tra queste non vi è la possibilità di aspettare. Non far niente, facendo finta di niente, ci condanna solo ad un declino i cui tratti peggiori già cominciano purtroppo a balenare nel nostro quotidiano.