Quella fatica di crescere che rende così “piccolo” il nostro Paese

___________________________________di Dino Perrone

 
 
Mentre le forze politiche continuano a dividersi su tutto, l’Italia resta  inchiodata ad un tasso di sviluppo che non supera il due per cento. Con il rischio di ritrovarsi così sempre più ai margini dell’economia internazionale. 
 
Rilanciare la crescita economica del nostro Paese dovrebbe essere l’obiettivo attorno al quale registrare finalmente una visione condivisa da parte di tutti gli attori della scena politica italiana.
Invece, anche dinanzi al persistente mordere della crisi, assistiamo al solito gioco delle contrapposizioni e delle divisioni più o meno strumentali.
Sembra insomma che in Italia l’unico accordo possibile sia quello di non essere d’accordo praticamente su nulla.
Qualsiasi iniziativa, qualsiasi riflessione fatta a voce alta, viene sottoposta al vaglio dei retropensieri, piegata al gioco dei tatticismi del momento.
Gli esempi e le occasioni si sprecano.
Quando Emma Marcegaglia, nelle scorse settimane, ha denunciato lo stato di solitudine nel quale versano gli imprenditori italiani ed ha chiesto risposte concrete al ceto politico, molti hanno detto, e certamente altrettanti hanno pensato, che si trattava di una presa di posizione tendente semplicemente ad ottenere  nuovi incentivi ed agevolazioni alle imprese.
In un Paese meno umorale del nostro si andrebbe invece al fondo della questione e si comprenderebbe che il presidente di Confindustria, legittimamente esercitando il suo ruolo, ha inteso piuttosto fotografare uno stato, meglio ancora un disagio profondo del tessuto produttivo italiano che non può continuare ad attendere vanamente quelle riforme che sono indispensabili per il rilancio dell’economia nazionale.
Inoltre, sempre in un Paese meno umorale ed anche meno smemorato del nostro, queste parole suonerebbero non certo nuove, dal momento che si tratta di un allarme che  non da oggi né da poche settimane è stato lanciato alla classe politica italiana.
E mi piace ricordare che proprio noi dell’Acai fummo tra i primi a sollevare la questione relativa ai motivi di doglianza dell’imprenditoria italiana, restando per molto tempo in solitudine quando sottolineammo la necessità che fosse dedicata una attenzione meno episodica non solo alla grande industria ma anche al reticolo delle piccole e medie imprese, vero asse portante della nostra economia, favorendone l’espansione attraverso riforme sistemiche in grado di renderle competitive sullo scenario internazionale.
La strada è infatti stretta, ma è anche l’unica percorribile.
Restiamo alle prese con un tasso di crescita che da troppi anni non riesce a toccare neppure la soglia del 2 per cento e, contestualmente, con la necessità di ridurre in maniera significativa il disavanzo dei conti pubblici.
La strada è stretta ed obbligata, ripeto, ma il problema è che non tutti intendono imboccarla.
Non si spiega altrimenti la cronica incapacità di andare al cuore del problema che è rappresentato, in estrema sintesi, dalla debolezza e frammentarietà del quadro politico italiano che ha come conseguenza la caduta dell’interesse, e prima ancora del sentimento collettivo con effetti perversi sul nostro quadro economico.
Rischiamo infatti di diventare un Paese preda di mille particolarismi, nel quale ognuno si illude di potersi salvare da solo, magari a scapito di tutti gli altri.
E rischiamo di restare anche il Paese dei troppi colli di bottiglia attraverso i quali non riesce a passare tutto quello che occorre per modernizzare la nostra società.
Riforma fiscale, efficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture, valorizzazione del capitale umano, innovazione, conoscenza diffusa, formazione permanente. E l’elenco potrebbe continuare fino a tediare il più paziente dei cittadini.
Ogni italiano, a partire proprio dagli imprenditori, è consapevole delle difficoltà del momento. Eppure questa consapevolezza diffusa non riesce  quasi mai a trovare la necessaria e doverosa sintesi politica.
Ciò è particolarmente grave perché la persistente disattenzione, per non dire altro, della classe politica su questi temi cruciali per lo sviluppo della società italiana rischia di rendere il nostro Paese sempre più marginale nello scenario economico internazionale.
Marginale ed infinitamente ‘piccolo’ rispetto a tanti nostri aggressivi e più coesi concorrenti.
 

 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

 

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