Quando il web diventa un nemico

___________________________________di Dino Perrone

 

Dilaga la moda vigliacca di insultare le persone utilizzando i social network. Ed a pagarne tragicamente le conseguenze sono soprattutto gli adolescenti. Amara conferma di una società che ha smarrito la propria capacità di comunicare  

 

Ha provocato più di un giustificato allarme, nelle settimane precedenti la Santa Pasqua, la recrudescenza di episodi di cyberbullismo che sempre più vedono come vittime i nostri adolescenti. Nel mirino sono finiti, in particolare, quei tipi di social network che permettono di comunicare, e più spesso di lanciare insulti, in forma completamente anonima.

Allarme giustificato, ho detto.

A febbraio, in provincia di Padova, una studentessa di 14 anni si è tolta la vita dopo gli attacchi ricevuti su un sito web. A Cagliari, negli stessi giorni, un’altra adolescente si è suicidata per gli stessi motivi. Infine, una settimana prima della Santa Pasqua, una quattordicenne di Venaria, in provincia di Torino, stanca degli insulti per il suo aspetto fisico rivolti da alcuni utenti su un social network, è volata giù dal sesto piano dello stabile in cui abitava.

Tutte vittime di quella odiosa forma di aggressione a mezzo internet che viene appunto rubricata alla voce cyberbullismo e che rappresenta la manifestazione più estrema di questa dilagante e vigliacca moda di lanciare insulti in rete al riparo dell’anonimato.

Proprio questa serie di suicidi di adolescenti vittime del cyberbullismo ha indotto la commissione ‘Diritti umani’ del Senato ad affrettare i tempi per predisporre un disegno di legge che imponga ai gestori di chiudere i social network ritenuti pericolosi. Iniziativa giusta e doverosa per garantire una tutela quanto mai necessaria.

Tutela tenuta presente anche dalla Corte di Cassazione che, con una recente pronuncia, ha stabilito che gli insulti messi in rete attraverso i social network costituiscono reato anche laddove siano anonimi e non venga indicato il nome della persona diffamata.

Ma è da illusi ritenere che, a contrastare il fenomeno, possa bastare il solo intervento normativo o qualche illuminata sentenza della magistratura.

Siamo infatti alle prese con una deriva etica e comportamentale che deve porci più di un interrogativo sui nostri ritardi culturali e sul tipo di società nella quale sono immersi, spesso con il rischio di annegare, i nostri giovani.

Una società nella quale appare sempre più evidente che il pericolo vero, per gli adolescenti, non si annida in strada ma piuttosto nelle loro accoglienti camerette. Spesso inespugnabili per i genitori, ma fin troppo aperte ed accoglienti per quanti, attraverso l’anonimato del computer, penetrano e violentano le loro vite.

Navigare in rete, comunicare con sconosciuti sul web, passare ore a scambiarsi pareri, a postare foto, a twittare pensieri. Tutto in apparenza senza conseguenze. Tutto in apparenza ‘virtuale’ e non reale.

Virtuale, appunto, ma troppo spesso non virtuoso.

Infatti, come detto, le strade telematiche che i nostri giovani percorrono nella solitudine delle loro camerette sono molto più pericolose ed infide di quelle che trovano all’uscita di casa.

La distanza di un computer, oppure di un telefono cellulare, rende tutti più spavaldi. Sconfigge i freni inibitori di una generazione che cresce sui social network piuttosto che sui libri. Che comunica con il linguaggio sincopato dei messaggini telefonici e resta invece muta dinanzi ai propri genitori. Che ‘consuma’ e non vive. Che apprende ma non ‘impara’.

E che rischia, questo è il punto, di restare profondamente infelice.

Credo non sia affatto un caso che un recente studio dell’OCSE collochi l’Italia fra i Paesi con la più alta aspettativa di vita, ma solo al trentesimo posto quanto a soddisfazione dei suoi abitanti dopo diversi stati del sud America e dell’est Europa.

Parimenti credo che non sia un caso che per quanto riguarda l’istruzione l’Italia investa il 4,7% del Pil, contro la media OCSE del 5,7%, e si collochi notevolmente sotto la soglia Ue (3%) per gli investimenti in cultura (0,8%) e ricerca (1,3%).

Una società più giusta e moderna, più accogliente e sensibile, si costruisce sui banchi di scuola e nel salotto di casa. Investendo cioè sull’istruzione e sulla famiglia. Fornendo aiuti, sostegni, buoni esempi. E’ anche di questo, soprattutto di questo, che dovrebbe occuparsi la buona politica.

Altrimenti continueremo a raccogliere solo frutti amari. Altrimenti faremo sempre più i conti con un tipo di società che aggredisce e non dialoga, che anzi ha smarrito la propria capacità di dialogare ed ascoltare.

Se in tanti, in troppi, preferiscono insultare le persone, a cominciare dai propri coetanei, attraverso internet piuttosto che uscire e stare con loro, vuol dire che qualche passaggio è saltato. Vuol dire che più di un anello che ci tiene insieme si è spezzato.

Vuol dire che c’è proprio tanto da fare e riparare. Per il bene di tutti.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI