Come restituire fiducia ad un Paese impaurito

___________________________________di Dino Perrone

 

I principali indicatori statistici continuano a descrivere l’Italia in preda ad una profonda crisi, ripiegata su se stessa, incapace di un qualsiasi cambio di passo. E certo l’ottimismo di facciata, da solo, non può bastare ad invertire la rotta.

Cara Italia, a che punto siamo ?

Il dato relativo al tasso di disoccupazione nel nostro Paese, a febbraio giunto al 13% come sancito dall’Istat, fotografa adeguatamente la perdurante drammaticità di una situazione che non può essere ulteriormente affrontata con qualche pannicello caldo.

E’ il momento di affrontare i nodi strutturali che strozzano la crescita. Una volta per tutte. Al netto delle convenienze di troppi centri di interesse e di rendite di posizione fin troppo consolidate. Al netto, anche, delle strategie elettorali del momento.

Disoccupazione al 13%, più di tre milioni e trecentomila persone in cerca di occupazione, 365mila occupati in meno nell’arco di dodici mesi, vale a dire mille posti di lavoro persi ogni mese.

Dinanzi a simili dati da lui stesso definiti ‘sconvolgenti’, Matteo Renzi si è impegnato, a nome del governo, a tornare sotto la doppia cifra del tasso di disoccupazione nei prossimi mesi e comunque entro il 2018.

Obiettivo ambizioso, non c’è che dire. In linea, del resto, con tutti gli altri solenni impegni assunti da quando il giovane premier ha varcato il portone di Palazzo Chigi. Obiettivo che deve essere necessariamente sorretto da una buona dose di ottimismo, per ingenerare quella fiducia che al momento continua ad essere non adeguatamente sufficiente.

Il Paese infatti, al di là dei brevi sussulti provocati dai ricorrenti ‘effetti-annuncio’ di cui si nutre la politica dell’attuale governo, continua quotidianamente ad arrancare. I segnali di ripresa, pur presenti, non appaiono in grado di rappresentare l’auspicata uscita dal tunnel di una crisi che rischia di scarnificare l’intera società italiana riducendola in poltiglia.

Non bastano le sole frasi ad effetto.

Con un tasso di disoccupazione mai così alto dal 1977, c’è bisogno di altro. Di molto altro.

Per poter finalmente ambire a crescere, praticando le tanto auspicate politiche espansive, bisognerà tornare ad assumere, bisognerà riassorbire i cassintegrati, bisognerà rinnovare i tanti contratti in scadenza. Bisognerà far ripartire la produttività generale.

Sono convinto che il premier Renzi tutto questo lo ha bene in mente. Non sono altrettanto convinto, però, che nei mesi a venire le forze politiche che sostengono l’attuale coalizione governativa saranno in grado di assicurargli l’appoggio necessario, sostenendone l’azione.

L’approssimarsi della tornata elettorale europea induce infatti quasi inevitabilmente a qualche forma di smarcamento, a sottolineare una qualche distanza, ad esaltare ogni distinguo allo scopo di incamerare più corposi dividendi elettorali.

Tutto ciò rappresenta un freno potentissimo al dinamismo frenetico, e per molti aspetti meritorio, del presidente del Consiglio e fa comprendere anche al più irriducibile degli ottimisti che i passaggi futuri del disegno riformatore messo in piedi dal governo saranno come minimo impervi.

La complessità delle cose da fare richiede infatti una identità di scopi, una concordanza di fini, un comune sentire che oggi non paiono albergare tra le componenti politiche.

E così si continua ad arretrare.

I redditi degli italiani restano esposti all’aggressione di una crisi economica che è oramai sfociata nel sociale. Si tende a risparmiare su tutto, persino sulle spese mediche. Si preferiscono i discount ai supermercati. Si rinviano nel tempo anche le spese più urgenti.

Tutti sintomi di un Paese sfiduciato, forse addirittura impaurito. E nel quale quelle che oggi, in molti casi, paiono solo pulsioni separatiste dal sapore poco più che folcloristico potrebbero, un domani, tramutarsi in qualcosa di più tremendamente serio con cui fare i conti.

Anche di questo, sono convinto, il presidente del Consiglio è ben consapevole. Ed allora insista. Conduca in porto le tante riforme annunciate, a partire dal riassetto delle normative in materia di lavoro, per far ripartire l’economia.

E tenga presente, il nostro premier, che per creare nuove occasioni di lavoro, svincolate dall’idea del posto fisso ed immutabile nel tempo, serve anche un deciso cambio della politica fiscale.

Un alleggerimento del cuneo che oggi grava pesantemente sulle imprese sarebbe un buon segnale. Il governo ha già promesso un significativo taglio. Bisogna vedere, adesso, se dalle parole si passerà rapidamente ai fatti.

Le imprese aspettano, il Paese aspetta. Ma il tempo si assottiglia sempre più. E non basta l’ottimismo, più o meno di facciata, più o meno istituzionale e dovuto,  a rallentare la discesa dei granelli di sabbia nella clessidra.

Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI