Ridare diritto di cittadinanza alle imprese

___________________________________di Dino Perrone

 

Dopo anni di colpevoli disattenzioni, se non addirittura di politiche punitive, tornano in testa all’agenda governativa i temi legati allo sviluppo dell’imprenditoria italiana. Un buon segnale, certo. A patto però che non resti solo un segnale…
 
Si può continuare ad avere fiducia in un Paese che, a tutt’oggi, neppure conosce con esattezza a quanto ammonta il proprio debito con le imprese ?
E’ una domanda che merita una risposta urgente e non evasiva, al netto dell’alluvione di parole, dati ed annunci che il premier Matteo Renzi, ad ogni occasione, instancabilmente continua a calare sugli italiani.
E’ una domanda che reca in sé anche una notevole dose di drammaticità, fotografando la difficoltà di un sistema che ha fatto della diffusa incertezza il proprio tratto distintivo e perdente.
Ricapitolando. 
Stando alle assicurazioni del presidente del Consiglio, entro luglio saranno liquidati 68 miliardi alle imprese. Una cifra, questa, che però deriva da una stima campionaria di Banca d’Italia vecchia di qualche mese, pertanto suscettibile di variazioni di un certo rilievo. Una cifra che, in presenza di ulteriori arretrati da onorare, potrebbe quindi  non garantire il saldo effettivo di quanto ancora dovuto dalla pubblica amministrazione. 
In questa situazione, pertanto, è corretto affermare che manca l’esatto ammontare dei debiti che restano da smaltire e che il governo si è comunque impegnato a liquidare a luglio.
E’ anche per tale motivo che appare ancora un cantiere aperto il disegno di legge che deve contenere le norme che consentiranno di sbloccare i pagamenti alle imprese. 
In ogni caso, l’iter che dovrebbe condurre a tutto questo non appare dei più agevoli, considerato che, se ci saranno scostamenti di tipo macroeconomico, il via libera definitivo potrebbe arrivare solo dopo l’assenso dell’Unione Europea e del Parlamento, visto anche il vincolo del pareggio di bilancio previsto dalla nuova versione dell’art. 81 della Costituzione. 
E restano ancora allo stato degli impegni annunciati, se non addirittura delle promesse, anche il taglio del 10% alla bolletta elettrica delle piccole e medie imprese ed i 500 milioni in più per il Fondo centrale di garanzia.
Anche in questo caso il cammino che dovrebbe condurre a passare dalle parole ai fatti appare, se non arduo, certamente piuttosto lungo. 
Il tutto, quindi, con buona pace di quella rapidità tanto sbandierata dall’attuale esecutivo.
Ma il problema non è tanto nel rischio più che concreto del dilatarsi dei tempi di realizzazione di quanto, oggi, è ancora poco più che allo stato di un pur impegnativo annuncio. 
Il problema vero è che un Paese, più che la rapidità, deve perseguire l’efficienza.
Il problema, cioè, è comprendere che un Paese serio si guida con efficienza, non solo con rapidità. Anzi, spesso la fretta non è una buona consigliera. 
Basti pensare ai tanti pasticci combinati in passato da norme affrettatamente varate sotto la spinta di urgenze di ogni tipo. Norme che poi hanno finito per causare guasti peggiori di quelli che volevano invece scongiurare. 
Ci aspettiamo quindi che, pur cercando il più possibile di non mortificare i ritmi sincopati che Renzi lodevolmente cerca di imporre al fin troppo anchilosato quadro politico italiano, vengano alla luce norme chiare, ponderate, univoche e soprattutto garanti di una efficienza che serve come l’aria che respiriamo. Altrimenti questa fin troppo decantata rapidità non potrà mai fare rima con incisività.
In ogni caso, è da salutare con piacere questa ritrovata attenzione al mondo delle imprese da parte di un sistema politico che, in passato, sul tema ha mostrato troppe colpevoli disattenzioni.
E’ ancora presto per capire se davvero l’industria è tornata in cima agli impegni di governo, così riprendendosi un sacrosanto diritto di cittadinanza. I primi segnali sono comunque incoraggianti. A patto, beninteso, che non restino solo segnali ma che si tramutino in provvedimenti concreti, in politiche coerenti e coese. 
Forse si è ancora in tempo per scongiurare la deriva di una deindustrializzazione che potrebbe avere effetti devastanti per un Paese economicamente fragile come il nostro. Ma occorre che durante questo percorso non vi siano tentennamenti, o peggio ancora inversioni di rotta.
In questo senso, qualche giusta preoccupazione ha destato la proposta di sopprimere l’Agenzia Ice per il commercio estero nell’ambito dei tagli di spesa. Non è certo questo il modo migliore per favorire la presenza sui mercati internazionali delle imprese italiane.
Evitare in futuro simili scivoloni sarebbe, questo sì, un bel segnale.
 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI