E’ tempo di riscoprire il “saper fare”

___________________________________di Dino Perrone

 

E’ sempre più difficile  trasmettere alle nuove generazioni le conoscenze ed esperienze del mondo artigiano. Ciò a causa di  politiche miopi e dissennate che non favoriscono la necessaria saldatura fra formazione scolastica ed imprese

 

C’era una volta l’Italia del ‘saper fare’.

Sembra l’inizio di una favola. E’ invece l’istantanea di un incubo crescente, la nitida fotografia di un Paese nel quale le conoscenze e le esperienze faticano a passare di generazione e che, anche per questo, sta smarrendosi forse irrimediabilmente.

C’era dunque una volta l’Italia delle tante eccellenze e di una diffusa manualità. L’Italia delle botteghe artigiane, il cui diffuso reticolo territoriale rappresentava una preziosa fucina di saperi e mestieri a disposizione dei giovani.

Un Paese dove potevano convivere, integrandosi ed arricchendosi, gesti millenari ed ardite sperimentazioni. Un Paese che conosceva la fatica ma anche il gusto di lavorare con le proprie mani e le proprie capacità. Un Paese nel quale, nei centri storici di in ogni cittadina, si potevano incontrare elettricisti, idraulici, pittori, aggiusta-robe, tapparellisti. Ed ancora negozi di piccola sartoria, rammendi, riparazioni, rimessa a modello sia per uomo sia per donna.

C’era una volta tutto questo.

Adesso, invece, c’è una domanda di capacità e competenze artigiane, addirittura enorme soprattutto nelle grandi città, che stenta sempre più ad essere accolta.

Questo il prezzo più evidente che stiamo pagando a causa di politiche miopi se non addirittura dissennate. Politiche, ma anche impostazioni culturali, che hanno considerato l’artigianato e le professioni manuali come un retaggio del passato, non favorendo in tal modo il ricambio generazionale e l’adeguata trasmissione delle competenze professionali.

Il lavoro artigiano è invece una delle cifre importanti della cultura e dell’economia italiana. Se si tornasse a scommettere su di esso, contaminandolo con i ‘nuovi saperi’ tecnologici e aprendolo alla globalizzazione, l’Italia si ritroverebbe tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione.

E’ quindi il tempo di iniziare a ragionare diversamente e a vedere nell’artigianato una risorsa, non un fastidioso problema.

Ma su questo punto la politica italiana continua a balbettare.

Basta guardare a quanto sta avvenendo in queste settimane per l’approvazione in Parlamento della versione definitiva del decreto sul lavoro. Certo non tutto è perfetto, nel testo licenziato dal ministro Poletti e già ampiamente modificato alla Camera. Sono anzi molti i punti di criticità. Ma l’impressione crescente è che, ancora una volta, si stia perdendo una buona occasione per rendere il nostro mercato del lavoro in grado di reggere l’urto della crisi, aprendosi ad una prospettiva transnazionale.

Im particolare, anche in questo impianto continua a non trovare una stabile sistemazione giuridica l’istituto dell’apprendistato. A differenza di altri Paesi, come ad esempio in Francia dove  esso è previsto nel Codice del lavoro che lo riconosce come un istituto fondamentale ‘che concorre al conseguimento degli obiettivi educativi della nazione’, da noi l’apprendistato continua ad essere oggetto di continue modifiche che creano incertezze applicative per le imprese. Dal 2011, anno in cui è stato emanato il Testo unico in materia, si sono infatti già succeduti la riforma Fornero ed il decreto Giovannini ed oggi il testo del ministro Poletti.

Di cosa meravigliarsi, allora, se si scopre che in Germania il numero medio di apprendisti supera il milione e mezzo mentre in Italia siamo abbondantemente al di sotto delle cinquecentomila unità ? Ed il trend è in sostanziale decrescita oramai da ben cinque anni.

Certo hanno ragione quanti sottolineano che il lavoro non si crea con un decreto. Occorre ben altro. Tuttavia un buon decreto può almeno impedire che si perda altro lavoro.

Rendere finalmente meno ‘ballerina’ la normativa sull’apprendistato, specialmente in tema di obblighi di assunzione, di sgravi contributivi e di finanziamento della formazione, potrebbe favorire una saldatura tra sistema scolastico e mondo delle imprese che oggi appare ancora ben lontana dal realizzarsi compiutamente.

Saldatura a mio avviso quanto mai indispensabile proprio per garantire quella trasmissione di conoscenze ed esperienze che si è smarrita con la progressiva mortificazione dei mestieri tradizionali attuata, ripeto, da politiche scellerate.

Oggi bisogna riscoprire il ‘saper fare’, integrandolo con la tecnologia dei ‘nuovi saperi.’

In un Paese come il nostro, famoso nel mondo per i suoi prodotti di qualità, ma dove la disoccupazione giovanile è altissima e scarseggiano carpentieri, fornai, sarti e scalpellini, potrebbe essere questa la ricetta giusta per ‘svoltare l’angolo’ ed immettersi finalmente sulla strada di una duratura e non effimera ripresa.

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI