Un lavoro moderno in un Paese che arretra

___________________________________di Dino Perrone

 

Una maggiore occupazione è possibile solo se le imprese prosperano, innovano e crescono. E se vi è la giusta attenzione all’emergere delle nuove figure professionali. Sembra facile. Ma in Italia, purtroppo, la scelta giusta si rivela sempre la più difficile da compiere

 

Continua ad essere estremamente arduo, nel nostro Paese, convincersi finalmente che il lavoro si crea solo se le imprese prosperano, innovano e crescono.

Sono infatti ancora tanti coloro che restano legati all’idea che le imprese, in quanto tali, siano anzitutto uno strumento di accumulazione economica e di perverso sfruttamento.

E’ chiaro che una simile visione sconta in maniera pesante un pregiudizio ideologico che ne offusca la capacità di analizzare la realtà in modo oggettivo e non ‘militante’.

E la realtà odierna vede molte volte imprenditori e lavoratori impegnati sulla stessa barricata, tenacemente a lottare fianco a fianco per difendere l’azienda e quindi il lavoro.

Il problema però è che, sino a quando si continuerà a ragionare solo con il filtro dei preconcetti, continueremo ad assistere ad una discussione sterilmente avvitata su se stessa e, soprattutto, al mancato sviluppo dell’occupazione nel nostro Paese. Con conseguenze sempre più devastanti per le prossime generazioni.

Cosa fare, allora ? Poche cose, se vogliamo, ma fatte per bene.

E tra queste poche cose da fare bene, la prima e più urgente riguarda l’alleggerimento della tassazione su imprese e lavoro.

Dovrebbe infatti essere chiaro a tutti che, per garantire una nuova ripresa del Paese, è necessario produrre uno sforzo straordinario in direzione del definitivo superamento di un sistema fiscale che, così come oggi concepito, si rivela estremamente penalizzante verso il lavoro e la produzione.

Ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro potrebbe consentire di restituire l’ossigeno necessario ad un sistema produttivo italiano che rischia di collassare sotto il peso di norme, precetti e sanzioni che sembrano concepite per ottenere solo effetti contrari a quelli desiderati.

A ciò deve aggiungersi che un sistema come il nostro, nel quale è difficile assumere perché risulta ancor più difficile un domani eventualmente licenziare, rischia di produrre una miscela esplosiva non solo per le grandi aziende ma anche per le piccole e medie imprese, e persino per il singolo artigiano che vorrebbe trasferire il suo sapere a qualche valido apprendista.

Il risultato è che siamo alle prese con un mercato del lavoro dove, nel corso degli anni, le pulsioni ipervincoliste si sono tradotte in un insieme di gabbie di regole e di obblighi pensate solo a tutela di chi il lavoro già ce l’ha, ma che oggi stentano a produrre politiche adeguate per una nuova occupazione.

Politiche occupazionali che, necessariamente, debbono prestare attenzione a figure lavorative che, pur attingendo in molti casi alla miniera di conoscenze dei mestieri tradizionali, si presentano come totalmente nuove e diverse rispetto anche al passato più recente.

Si affacciano cioè alla ribalta figure professionali svincolate dalle logiche del passato che, però, ancora stentano a trovare diritto di cittadinanza e la giusta collocazione in un mercato del lavoro fin troppo ingessato e tradizionale come il nostro.

Si tratta allora di ampliare il ventaglio delle iniziative, di scandagliare nel profondo ciò che si muove nel mare dei nuovi lavori, di portare alla luce le tante inespresse potenzialità che essi possono recare in dote al nostro Paese.

Si tratta, in definitiva, di assicurare una valida cornice normativa a questi nuovi lavori che potrebbero far svoltare una società come quella italiana che mostra preoccupanti segnali di arretramento.

Tutto questo, ovviamente, non deve però avvenire a scapito, se non addirittura a dispetto, della necessaria concertazione sociale. C’è chi, a questo proposito, lamentando la sostanziale ‘sordità’ del governo su questo tema, nelle scorse settimane si è spinto a parlare addirittura di ‘torsione della democrazia’.

Noi, meno drammaticamente, preferiamo rivendicare l’importanza di un dialogo continuo e proficuo con le parti sociali che deve costituire un tratto irrinunziabile per qualsiasi governo che voglia davvero confrontarsi con i problemi del Paese con la volontà e l’ambizione di provare a risolverli.

E qui sta il punto.

Il premier Matteo Renzi ha sin qui dimostrato una straordinaria capacità di parlare e comunicare. Ora deve dimostrare di essere altrettanto bravo ad ascoltare e dialogare. Con tutti. E di farlo senza preconcetti.

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI