Due decenni. E questo, a giudizio del Fondo Monetario Internazionale, il tempo necessario perché lItalia torni a registrare una duratura crescita economica. Nel frattempo, la povertà continua ad aumentare ed il nostro Paese è sempre più diseguale
Non prendete troppi impegni per i prossimi ventanni. Cè da far tornare il nostro Paese a quelli che erano i livelli occupazionali prima della crisi.
Per arrivare a questo risultato, a parere del Fondo Monetario Internazionale, potrebbero essere necessari appunto ventanni, se non ci sarà una rilevante accelerazione della crescita economica.
Meglio dunque lasciarsi liberi da altre incombenze e concentrarsi, tutti insieme, su questo obiettivo.
Ventanni. Lo spazio di una generazione. A conferma che luscita dal tunnel della recessione non comporta, da sola, la capacità di imboccare subito lautostrada della ripresa.
Come era prevedibile, questa stima del Fondo Monetario Internazionale, arrivata a fine luglio, non è affatto piaciuta al nostro ministro dellEconomia che, in una nota, ha dichiarato che essa non tiene nel dovuto conto le riforme strutturali che già sono state introdotte.
Padoan, tuttavia, prudentemente non si è spinto a dire in quanto tempo, a suo giudizio, il Paese tornerà ad essere quello di prima. Un anno, due, forse dieci ? Quindici, magari ?
Non è che questa incertezza sugli effettivi tempi di guarigione del nostro Paese sia in realtà lunica ombra che grava sulle magnifiche sorti e progressive dellattuale esecutivo. E in generale laria che tira a non essere tra le migliori.
Aria appiccicaticcia, sudaticcia. E non certo per colpa dellafa estiva. Aria stanca. Di ritorno ad un passato che, in Italia, in realtà non passa mai.
Ed infatti, puntuali sono arrivate, anche in mezzo a tanta calura, le docce gelate delle indagini statistiche sullo stato di salute della nostra economia. E si è trattato di secchiate rabbrividenti.
LIstat ha certificato che, nel secondo trimestre dellanno, la crescita è aumentata di appena lo 0,2%. Siamo quindi sempre a valori da prefisso telefonico, a conferma che la tanto auspicata ripresa resta sempre più intenzionale che reale.
Ma non basta.
Più di un quarto di nostri concittadini rimane senza soldi alla fine del mese, secondo quanto emerge da una indagine della Global Consumer Confidence Survey. Del resto cè ben poco da meravigliarsi, dal momento che il nostro è il Paese che «ha registrato i risultati peggiori» sulla crescita del Pil pro-capite tra quelli che hanno adottato l’euro fin dall’inizio, come impietosamente certificato, sempre in piena estate, dalla Banca centrale europea.
Siamo una Nazione impoverita e smarrita. E sempre più diseguale.
Infatti dal 2011 al 2014 le famiglie assolutamente povere sono aumentate in Italia del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Ma già nel 2013 una persona su tre nel Mezzogiorno era a rischio povertà, contro una su dieci al Centro-Nord. Inoltre, quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.
Tutti dati che emergono dal Rapporto Svimez 2015 e che raccontano come, nei fatti, la nostra Italia sia già divisa in due tronconi.
Un Nord che ancora resiste ed un Sud che è invece alla deriva registrando una crescita che in un decennio è stata meno della metà di quella della Grecia.
Un Sud nel quale gli investimenti continuano a mancare, con un comparto industriale che ha visto il proprio valore aggiunto precipitare del 38,7% dal 2008 al 2014.
Lanalisi contenuta nel Rapporto Svimez è impietosa.
Si dice a chiare lettere che il depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie, potrebbe impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
In questa situazione appare evidente che cè ancora tantissimo da fare per sperare di invertire la rotta.
Occorrono più che mai investimenti pubblici e privati per rilanciare l’occupazione. Ma prima ancora, occorre fare riferimento ad una nuova idea di Paese che colga i segnali di cambiamento e che, per dimostrarsi giusta, non deve far trascorrere altri ventanni.
Fra le molte risorse che non possiamo consentirci di sprecare, infatti, cè proprio il tempo. Ne abbiamo davvero ben poco a disposizione.
Dino Perrone