Connessi ed esclusi

________________________________di Dino Perrone

 

Un milione e mezzo di bambini e ragazzi, in Italia, versa in uno stato di assoluta povertà. Tutto ciò mentre i loro coetanei più fortunati maneggiano con crescente disinvoltura le nuove tecnologie. Anche in questo restiamo una Paese profondamente disuguale ed ingiusto

Il nostro Paese, oggi, è anche questo. C’è una generazione di bambini e di adolescenti che sta sperimentando sulla propria pelle una crescita fortissima sia delle differenze che delle diseguaglianze.

La crisi economica di questi anni, infatti, in Italia non ha colpito tutti allo stesso modo. Secondo le più avvertite statistiche, a fronte di bambini e ragazzi veloci nell’apprendere e nell’usare le nuove tecnologie, c’è anche oltre un milione e mezzo di loro coetanei che versa in uno stato di assoluta povertà e che quindi non può consentirsi di avvicinare questo mondo ipertecnologico e perennemente connesso.

Il nostro Paese, ripeto, oggi è anche questo.

Un Paese nel quale il divario di condizione oramai non riguarda solo le diverse generazioni ma è destinato a scavare un solco, sempre più profondo, all’interno di una stessa generazione.

In un contesto nel quale diventa sempre più labile ed incerta la possibilità di valorizzare la vera competenza, e dove continua a fare proseliti l’acre e rozza idea che “chi non ha non è”, appare chiaro che resta in salita la strada per tutti coloro che sono impossibilitati, per ragioni economiche,  a godere dei vantaggi della tecnologia. E questo conduce inevitabilmente al restringimento delle loro facoltà di scelta, non solo in ambito lavorativo.

Però è il caso di riflettere anche su un diverso aspetto della questione. 

C’è stata un’epoca in cui diventare grandi, entrare nel cosiddetto mondo degli adulti, era per i ragazzi una esperienza non solo attesa ma, a volte, persino sollecitata dalle contingenze storiche. Penso al secondo dopoguerra, quando si può dire che una intera Nazione fu costretta a diventare rapidamente adulta, maturando scelte ed avallando decisioni che avrebbero dato il senso di una cesura netta con il passato.

Oggi invece si ha come l’impressione che, per i nostri ragazzi, diventare grandi sia una lenta e notevolissima fatica.

In tal modo lo scarto tra l’infanzia e l’adolescenza appare sempre più forte. Uno scarto non solo temporale, ma anche psicologico. Uno scarto nel quale, paradossalmente, proprio la tecnologia gioca un pesantissimo ruolo.

Essa infatti, per come utilizzata oggi, tende più ad isolare che a condividere. Tende a dilatare i tempi, dando invece l’illusione di accorciarli. Promettendo di avvicinare, tende piuttosto a distanziare.

Basta guardarsi intorno.

Difficile trovare bambini e adolescenti lontano da cuffie, cellulari e portatili anche quando sono in gruppo, anche quando dovrebbero dialogare tra loro.

La sociologia parla di una generazione che, per la prima volta nella storia dell’umanità, tende a non fare più alcuna differenza tra la vita digitale e quella reale. Con la prima nutrita di iPod, iPad, iPhone e scandita dai ritmi dei social network. Un terreno di linguaggio comune con quello dei loro genitori, a loro volta i primi ad avere un bagaglio di competenze digitali cui attingere per comunicare con i propri figli.

Lo spazio per uno scambio reale di esperienze, per un dialogo non fittizio e digitalizzato, appare sempre più esiguo, sempre più drammaticamente compromesso.

Utilizzata, direi abusata in tal modo, questa tecnologia aiuta davvero a far maturare esperienze ? O finisce per dilatare nel tempo l’ora delle scelte consapevoli a cui è chiamata ogni generazione ?

Certo, in questa difficoltà di diventare davvero grandi, pesano enormemente l’incertezza del futuro e l’insicurezza su cosa si potrà fare da adulti.

Ma pesa anche quel divario all’interno di una stessa generazione cui ho fatto cenno prima e che forse rischia di emarginare le menti davvero creative.

Un divario, per quanti vivono in una condizione di povertà, che chiude la possibilità di tracciare un orizzonte da scoprire o inventare. E dove la vita con cui misurarsi è solo quella reale.

Cosa resta infatti ai nostri ragazzi, una volta spenti cellulari e computers ? Con quali occhi sono in grado di osservare la vita che li circonda ? A quali “chiavi di accesso” debbono ricorrere per entrare in mondi che non possono essere contenuti nello schermo di un cellulare ?

Forse allora gli esclusi di oggi saranno gli unici, un domani, a poter decifrare e cambiare davvero in meglio la realtà, togliendole di dosso ogni velenosa ed illusoria connessione con la sua propaggine virtuale.

Affidarsi a loro, rendendoli già oggi un po’ meno esclusi, potrebbe essere quindi una buona idea.

 

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI