Il lungo autunno di un Paese indecifrabile

________________________________di Dino Perrone

 

 

Nonostante qualche sporadico segnale di ripresa, restano difficilmente quantificabili i costi sociali dell’attuale crisi economica. Così rischiamo di diventare una Nazione unita più dal bisogno che da un progetto realmente condiviso

Nelle scorse settimane l’Istat ha reso noto che a luglio il tasso di disoccupazione è calato di mezzo punto percentuale e negli ultimi dodici mesi gli occupati sono cresciuti di 235mila unità. Inoltre, sempre a luglio sono ripartiti anche i consumi con un aumento tendenziale del 2,1%.

Finalmente due buone notizie, viene da dire, ma sarebbe delittuoso costruirci sopra soverchie illusioni.

Abbiamo passato una torrida estate, certo. Ma si può dire che per il nostro Paese l’autunno non sia mai andato via.

Il tunnel da percorrere è infatti ancora molto lungo e la crisi economica, con buona pace degli ottimistici tweet di provenienza governativa, sta lasciando cicatrici sempre più profonde nel tessuto sociale del nostro Paese.

E’ una realtà con la quale bisogna fare i conti, provando a decifrare una Italia in cui si allungano le distanze tra i vari territori, con un Nord che tenacemente prova a resistere ed un Sud sempre più distante ed estenuato, e dove si approfondisce il baratro tra quanti un lavoro lo hanno trovato e coloro che invece lo inseguono ancora come una chimera.

Un Paese nel quale, ad esempio, tra il Trentino e la Calabria corrono più di 1000 euro di differenza nella sola spesa mensile. Un Paese, quindi, che al suo interno ne contiene molti altri in doloroso contrasto tra loro in quanto a condizioni di vita e che, oggi, forse rischia di poter essere unito più dal bisogno che da un progetto comune e realmente condiviso.

Un Paese che di tutto può avere necessità tranne che di eccessi di ingiustificato trionfalismo che invece, puntualmente, fanno capolino all’indomani di microscopiche variazioni del tasso di crescita.

Un Paese da decifrare, ho detto prima.

Provo a farlo prendendo le mosse da due dati.

Da una parte, secondo gli studi più recenti la crisi economica, dal 2007 a oggi, è costata alle famiglie italiane qualcosa come 122 miliardi di euro, tra 47 miliardi di minori risparmi e 75 miliardi di minori consumi.

Dall’altra, il peso di fisco e contributi sul complesso dell’economia è cresciuto in quattro anni di circa 2 punti attestandosi così  al 43,5 per cento del nostro Prodotto interno lordo. Percentuale che, in  mancanza di una robusta quanto improbabile riduzione del carico fiscale, è destinata ad aumentare al 44,1 per cento già nel corso del 2016. Tutto ciò proprio mentre la Corte dei Conti, non più tardi di due mesi addietro, ha definito “intollerabile” questa pressione fiscale fotografata dalle sole statistiche ufficiali.

Da una parte, dunque, famiglie italiane sempre più povere. Dall’altra una tassazione sempre più insostenibile che grava non solo sui nuclei familiari ma anche sulle imprese che stentano a restare sul mercato, a crescere, competere, innovare e garantire maggiore occupazione.

Una miscela che rischia di diventare fatalmente esplosiva se non interverranno le dovute correzioni da parte di un ceto politico che, ad ogni passo, sembra invece sempre sul punto di “incartarsi” definitivamente.

E’ ormai di tutta evidenza che la pressione fiscale debba essere ridotta e in modo visibile e permanente.

E’ vero.

Il governo Renzi ha annunciato un piano di significativi tagli alle tasse a partire dal prossimo anno che dovrebbe riguardare anzitutto la casa e poi, in una seconda fase, anche il lavoro che, nonostante quanto previsto dalle nuove norme in materia di decontribuzione per i neoassunti, in Italia continua a registrare un costo tra i più elevati d’Europa.

C’è solo da augurarsi che si proceda su questa strada senza ulteriori indugi o intoppi e con crescente convinzione, nella consapevolezza che la domanda interna può davvero ripartire solo se le famiglie italiane saranno poste in condizione di poter tornare a spendere affrontando senza affanni la famigerata quarta settimana del mese.

Ma deve essere anche chiaro che l’auspicata riduzione del prelievo fiscale e contributivo va finanziata attraverso tagli selettivi alla spesa improduttiva e mediante una lotta all’evasione fiscale che sia realmente incisiva.

Solo in questo modo il nostro tornerà a essere un Paese decifrabile e finalmente coeso. Solo così l’autunno che lo avvolge da troppi anni potrà lasciare il posto a una diversa e nuova stagione di sviluppo e benessere per tutti.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI