Il fantasma della povertà

________________________________di Dino Perrone

 

Dopo le drammatiche impennate degli ultimi anni, nel 2014 non si sono registrati aumenti delle condizioni di disagio delle famiglie italiane. Ma non è certo il caso di tirare un sospiro di sollievo. L’Italia resta infatti un Paese profondamente malato

Il rapporto Istat sulla povertà in Italia, di recente pubblicazione, ci dice che sono più di sette milioni gli italiani poveri.
Di questi, oltre quattro milioni vivono in condizioni di povertà assoluta, non possono cioè permettersi di acquistare il minimo indispensabile per vivere. Un milione e 866mila di costoro risiedono nel solo Mezzogiorno, a conferma di una società italiana che, anche nel disagio, resta profondamente diseguale e frantumata.
Sette milioni di italiani poveri, quindi. E poveri sul serio.
Un dato impressionante. Parliamo infatti di oltre un milione e 470 mila famiglie, vale a dire il 5,7% di quelle residenti, che vivono come un incubo la loro quotidiana esistenza.
Interessante è poi il fatto che l’incidenza della povertà allenta la sua morsa all’aumentare del titolo di studio. Se la persona di riferimento è almeno diplomata, l’incidenza è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare. Inoltre, la povertà assoluta sale tra le famiglie di operai per raggiungere il valore massimo tra quelle con la persona di riferimento in cerca di occupazione.
Un dato impressionante, ripeto.
Ma parimenti impressionante è il fatto che, in alcuni ambienti, simili riscontri statistici siano stati accolti addirittura con un malcelato sollievo per la semplice circostanza che, dopo due anni di aumento, nel 2014 l’incidenza della povertà si è mantenuta stabile.
E’ proprio il caso di domandarci, tutti insieme, che razza di Paese stiamo diventando se ci accontentiamo di mantenere stabile la povertà, piuttosto che provare a contrastarla ed a ridurla in maniera significativa.
Cosa diciamo a tutti questi italiani che continuano a vivere in condizioni più svantaggiate rispetto alla media della popolazione ? Che forse per loro poteva anche andare peggio ? Che possono quindi tirare magari un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo ?
Siamo seri, per favore.
Dovremmo piuttosto dire che proviamo profonda vergogna per una situazione che non appare degna di una delle più forti economie occidentali, specie nel campo manifatturiero, e che fa a pugni con l’obiettivo di garantire a tutti i cittadini una esistenza dignitosa.
Dovremmo dire che questi dati, nella loro asciutta eloquenza, rappresentano il sintomo più evidente e preoccupante di un Paese che rimane profondamente malato.
Malato di una crisi che oramai da troppo tempo non è solo economica, ma che anzi negli affanni e nelle storture dell’economia vede solo gli effetti di una più vasta e grave crisi.
La crisi del senso etico di un Paese che si è come geneticamente trasformato, smarrendo per strada i suoi valori di riferimento e che, oggi, stenta drammaticamente a ritrovarsi.
Alla nostra cara Italia servirebbero appunto dosi massicce di senso etico per contrastare adeguatamente il proliferare incontrollato di tanti egoismi, tanti menefreghismi, tante piccole e grandi corruzioni e forme di illegalità vecchie e nuove.
Senso etico al quale dovrebbe riuscire a richiamarsi anzitutto la politica che invece, purtroppo, non riesce a ridurre le distanze sociali e continua a doversi fare perdonare troppe cose.
Una politica che, nella gestione del bene pubblico, nel corso di questi anni non sempre è apparsa in grado di svincolarsi dalla stretta di troppi interessi privati che, pure quando sono legittimi, restano sempre comunque parziali e privi di visione e progettualità collettive.
I dati licenziati in queste settimane dall’Istat ci raccontano di una sofferenza sociale che non può essere liquidata con una scrollata di spalle. Né tantomeno con un sospiro di sollievo del tutto ingiustificato.
Questi dati ci impongono invece di non restare ancora inerti. Ci richiamano al dovere di contrastare, ognuno per la sua parte, ogni forma di disuguaglianza e di ingiustizia sociale. E di ricordare le parole di Papa Francesco quando ha detto che, per tenersi lontano da corruzione e malaffare, occorre che l’economia sia “radicata nella giustizia” e che bisogna prendersi “a cuore la sorte dei più poveri”.
Il primo passo per sperare di poter guarire è quello di rendersi conto di essere purtroppo ammalati. E’ giunta l’ora che questa amara consapevolezza diventi finalmente parte della coscienza collettiva del Paese e delle sua classi dirigenti.
 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI