Nuova emigrazione, vecchi problemi

di Dino Perrone

 

Le statistiche ci dicono che, dopo tanto immobilismo, c’è una parte d’Italia che si muove in cerca di lavoro. Il guaio è che si tratta sempre della stessa parte, quella meridionale. E che le occasioni di lavoro continuano a restare  quasi tutte confinate al Nord del Paese.

Cari associati,
secondo i dati resi noti dall’istituto di ricerca Svimez e pubblicati dal Corriere della Sera, circa 270 mila persone ogni anno si spostano dalle regioni meridionali verso quelle del Centro Nord del nostro Paese. Di queste, 120 mila si trasferiscono in maniera permanente. Le altre lo fanno per uno o più mesi.
E’ la nuova emigrazione italiana.
Una emigrazione che dal punto di vista quantitativo ci riporta indietro ai primi anni Sessanta, quando in media annualmente si spostavano al Nord 295 mila persone.
Ma le analogie, almeno in apparenza, finiscono qui.
Questa nuova emigrazione è infatti del tutto diversa rispetto al passato.
Anzitutto non fa notizia.
E questo perché, oltre ad essere fisiologicamente calata la soglia di attenzione riguardo certe problematiche, il fenomeno oggi non suscita problemi di integrazione sociale rispetto al passato.
Il nuovo emigrante meridionale, infatti, non è più il contadino di scarsa istruzione e pochi mezzi che lasciava la terra d’origine trascinandosi sul treno la sua valigia di cartone carica di ricordi e di speranze.
Il nuovo emigrante del Sud è quasi sempre un giovane diplomato, spesso anche laureato. Una persona capace di maneggiare le nuove tecnologie, a cominciare da Internet, con discreta conoscenza delle lingue. Una persona insomma in grado di interagire con la nuova realtà, non di subirla, in qualche modo capace persino di indirizzarla. Egli non è quindi più un “caso sociale”, come appunto avveniva negli anni Sessanta, dove l’emigrazione era caratterizzata anche da dolorosi e laceranti fenomeni di rifiuto dell’integrazione.
Questa nuova emigrazione, insomma, secondo i più ottimisti dovrebbe essere rubricata alla voce “mobilità”. Quasi la spia di un nuovo tipo di società più vicino a quella americana, in cui ci si muove in cerca del lavoro lì dove si trova, invece di attenderlo sotto casa, supinamente.
Il guaio, però, è che si tratta di una mobilità a senso unico. A spostarsi, insomma, è solo una parte del Paese. E sempre la stessa.
A muoversi, costretti a farlo, sono infatti solo i giovani meridionali, con un progressivo impoverimento demografico, culturale ed ideale del nostro Mezzogiorno.
L’America, insomma, resta lontana. Tant’è che nell’ultima legge finanziaria, quasi a voler correggere questo fenomeno, è stato inserito un bonus di 400 euro mensili per i neolaureati che svolgono stages semestrali nelle imprese del Sud.
Non sappiamo se basterà questo incentivo, collegato alla possibilità, per le imprese che dovessero assumere questi neolaureati, di ottenere un contributo di 3 mila euro. Di certo, è necessario studiare profondi correttivi per evitare un salasso demografico che, in termini quantitativi, vede trasferirsi ogni anno al Centro-Nord una città dalle dimensioni di Caltanissetta.
Altra caratteristica del tutto nuova di questa seconda emigrazione è rappresentata dall’inversione dei flussi economici. Nel dopoguerra, le rimesse degli immigrati portavano danaro dalle regioni settentrionali a quelle meridionali. Oggi avviene il contrario.
In questa nuova emigrazione, i soldi dal Sud giungono al Nord. All’apparenza un paradosso. In realtà il segnale più evidente dei mutamenti sociali intervenuti nel Paese.
In passato il denaro degli immigrati era destinato a mantenere le mogli o i genitori rimasti nei luoghi di origine. Oggi sono le famiglie d’origine ad aiutare i lavoratori precari e gli studenti meridionali nelle università del Nord.
All’impoverimento demografico, culturale ed ideale del nostro Mezzogiorno, cui abbiamo fatto cenno prima, si aggiunge quindi anche un elemento strettamente economico da non sottovalutare, a conferma dell’estrema fragilità di un modello economico che continua a penalizzare una parte del nostro Paese.
Come si vede, anche questa nuova emigrazione reca in sé un carico di nodi irrisolti non indifferente.
La ripresa dell’emigrazione interna, anche se non viene più vissuta come un dramma sociale, è comunque un problema da affrontare, e non solo in occasione delle tornate elettorali. Si tratta di una questione che resta sul tappeto e che rischia fare inciampare il nostro Paese.
Infatti il progressivo depauperamento della ricchezza intellettuale del Mezzogiorno, che vede partire per il Centro-Nord le persone più colte, rischia di pesare come un macigno sui delicati equilibri del nostro Paese.
Se non si sarà capaci di invertire questo trend, la nostra società non somiglierà affatto a quella americana, che di suo peraltro non è comunque immune da difetti.
Piuttosto continueremo ad avere due Italie. Se non in conflitto tra loro, certo pericolosamente distanti e quasi estranee.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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