Morti sul lavoro, piaga da sconfiggere

di Dino Perrone

 


Da Torino a Molfetta, il triste rosario dei nomi delle vittime non conosce confini geografici, né limitazioni di dimensione aziendale. Stiamo pagando un prezzo altissimo alla perversa idea del lavoro visto come fine e non come mezzo al servizio degli altri


Cari associati,
morire sui luoghi di lavoro è inaccettabile.
Si tratta di una ferita che, purtroppo, lacera pesantemente il tessuto sociale del nostro Paese e ci ammonisce su quanto ancora sia lunga la strada da percorrere per garantire condizioni di reale sicurezza nel mondo del lavoro.
Da Torino a Molfetta, il triste rosario dei nomi delle vittime non conosce confini geografici, né limitazioni di dimensione aziendale.
L’anno scorso sono decedute oltre mille persone, altrettante sono rimaste invalide. Nei primi due mesi del 2008 le vittime sono già state 190. Cifre impressionanti, certamente non degne di un Paese annoverato fra le maggiori potenze industriali del mondo.
Morti bianche, vengono definite. Morti che lasciano un nero nell’anima. Morti ingiuste e che chiamano in causa i ritardi e le disattenzioni di un sistema politico ed economico che non ha saputo sviluppare abbastanza, nel Paese, una cultura della sicurezza capace di non piegarsi ad ogni tipo di compromesso.
Su questi temi l’attenzione della nostra associazione è costante.
Attraverso iniziative di sensibilizzazione sul territorio, l’Acai non da oggi porta avanti un discorso di consapevolezza diffusa sulla necessità che in Italia il lavoro sia non solo garantito e protetto, ma anche sicuro da rischi di ogni genere, per fare in modo che alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali non sia anteposto il profitto o la semplice indifferenza.
Siamo confortati, in questa nostra opera, da quanto la dottrina sociale della Chiesa ha affermato con riferimento alla dignità del lavoro, visto come espressione essenziale della persona.
Nell’enciclica Laborem exercens è contenuto l’invito ad interrogarsi ‘circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive’, sottolineando la necessità di ‘sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro’.
Sempre in questa enciclica la Chiesa si sofferma lungamente sul diritto ‘ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale’. Un diritto che purtroppo viene spesso offeso, in nome di obiettivi a volte inconfessabili.
Come offeso, in altri casi, è anche il diritto ad una giusta remunerazione. Basti pensare ai tanti fenomeni del lavoro sottopagato, scarsamente garantito o non rappresentato in maniera adeguata.
Qualsiasi forma di materialismo ed economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, sottolinea ancora la Laborem exercens, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza stessa del lavoro che è racchiusa proprio ‘nel suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona’.
Occorre allora tornare proprio all’essenza del lavoro. Occorre cioè tornare a porre attenzione alla persona.
In questo senso, la cultura imprenditoriale del mondo artigiano ha davvero ben poco da farsi rimproverare. La dimensione umana del lavoro, la sua unicità, la sua irripetibilità sono da sempre, infatti, i pilastri sui quali si fonda la presenza dell’imprenditoria artigiana nel nostro Paese.
Nelle nostre botteghe ieri, nelle nostre piccole e medie aziende oggi, le tecniche utilizzate, anche quelle più raffinate ed all’avanguardia, non diventano mai più importanti dell’uomo stesso. Non si trasformano mai in nemiche della sua dignità.
In tal modo a non subire mortificazioni, ma anzi a venire giustamente esaltata, è proprio la dimensione sociale del lavoro.
Mentre giustamente ci si stringe attorno ai familiari delle troppe vittime sui luoghi di lavoro, crediamo quindi che sia più che mai doveroso avviare una riflessione generale sul senso del lavoro nel nostro Paese.
Ci riferiamo non solo alle storture del lavoro nero, di quello minorile, sottopagato e sfruttato. Ci riferiamo anche alle altre forme di lavoro, più scintillanti in apparenza ma altrettanto insidiose per la tenuta sociale dell’intera società italiana.
Ci riferiamo al lavoro visto solo come carriera, capace di sottrarre spazio alla famiglia, alle relazioni umane, alla socialità.
Anche questa forma esasperata di lavoro ‘uccide’. Anche questa forma di lavoro ci sottrae alla vita. La nostra e quella degli altri, di quanti ci stanno intorno.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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