Meno sprechi vuol dire anche meno tasse

___________________________________di Dino Perrone

 

 
Riuscire ad alleviare il carico burocratico che grava sulle imprese, in un Paese che ha festeggiato il Primo Maggio con un lavoro sempre più a rischio, potrebbe consentire il rilancio dell’economia e la stessa riduzione dell’imposizione fiscale

Inutile girarci intorno. Quest’anno abbiamo assistito ad una Festa del Lavoro immalinconita da una sottile quanto diffusa preoccupazione che neppure la massiccia mobilitazione sindacale è riuscita a scacciare del tutto.
Una preoccupazione, aggravata purtroppo anche dall’ennesima morte sul lavoro, che ha fatto dire al ministro Fornero che quello di quest’anno non è stato ‘un bel Primo Maggio’.
Parliamo di una preoccupazione che peraltro si legge quotidianamente sui volti delle persone, e non solo di quelle scese in piazza in questa occasione. Una preoccupazione con la quale siamo chiamati a fare ruvidi conti e che può sfociare in acuta depressione, come tristemente ammoniscono i tanti suicidi di lavoratori ed imprenditori verificatisi in questi mesi, ma in qualche caso addirittura in rabbia scomposta.
Anno dopo anno, del resto, risulta oltremodo difficile festeggiare qualcosa che c’è sempre meno, qualcosa che comincia tremendamente a mancare un po’ a tutti.
E quello che non c’è, quello che oramai manca drammaticamente nel nostro Paese è proprio il lavoro.
Una festa, quindi, quella del Primo Maggio, alla quale di questo passo rischiamo di non vedere più partecipare proprio il festeggiato, cioè il lavoro quale valore in sé.
La preoccupazione nasce da una situazione economica ancora a rischio e che solo lo scorso anno ha visto chiudere per fallimento più di undicimila aziende. Uno stato di cose che richiede interventi incisivi e coraggiosi che riportino fiducia in quanti lavorano ed in quanti il lavoro lo danno.
In tal senso assumono particolare rilievo le parole pronunziate proprio in occasione della Festa del Lavoro dal Cardinale Angelo Scola. L’Arcivescovo di Milano ha ricordato che il lavoro, in quanto attività propria dell’uomo, non è solo il motore di ogni attività economica, ma ne è il movente. Ed ha inoltre richiamato il passaggio dell’enciclica Caritas in veritate in cui Papa Benedetto XVI sostiene la necessità di allargare la ‘ragione economica’ per passare dall’effimero al durevole, dall’individualistico al comunitario.
Su tutto questo dovrebbero riflettere anche il premier Monti ed il ministro Fornero, seriamente interrogandosi sull’impatto che le riforme tecniche da loro appena avviate potranno avere sulla tenuta complessiva di un Paese già tremendamente sfibrato e slabbrato di suo.
Un Paese che per rimettersi definitivamente in piedi avrebbe bisogno, forse, di interventi calibrati in altri settori.
Continuiamo ad essere asfissiati, ad esempio, da una burocrazia lenta e costosa, che impone oneri sempre meno sostenibili al nostro comparto produttivo.
Lo confermano gli ultimi dati licenziati proprio dal ministero della Pubblica amministrazione in base ai quali ammontano oramai a 26 miliardi di euro i costi annui che gravano sulle piccole e medie imprese per i soli adempimenti statali e a ‘legislazione concorrente’.
Costi legati a procedure bizantine, irte di norme, decreti, certificazioni ed autorizzazioni che ostacolano la vita quotidiana delle imprese e degli stessi cittadini.
Su questo fronte il governo in carica, anche di recente, ha tuttavia assicurato la massima attenzione, varando una sorta di tavolo di ‘ascolto permanente’ delle segnalazioni che singole imprese ed associazioni di categoria fanno pervenire dal territorio.
Entro la fine dell’anno, è stato garantito, dovrebbero vedere la luce l’autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese, le misure per i controlli e l’individuazione di un regime unico per i procedimenti autorizzativi.
Ma quest’anno è ancora lungo da passare.
E certo non induce a facili ottimismi pensare che la prima iniziativa legislativa in materia di autocertificazione risale addirittura al 1968, sotto l’egida del terzo governo Moro, e che ancora oggi l’uso delle dichiarazioni sostitutive incontra non pochi ostacoli. Insomma, e visti i precedenti storici, di buone intenzioni rischia di essere lastricato anche il percorso di questo governo tecnico dal quale, certo anche a causa del degrado crescente dei partiti, forse si vorrebbe più di quanto sia realistico attendersi.
Eppure sarebbe davvero meritorio riuscire a snellire e sveltire la macchina burocratica. Meritorio e per certi aspetti persino rivoluzionario.
Tutto ciò infatti potrebbe avere come effetto una sensibile riduzione della spesa pubblica, tagliando sprechi e privilegi oramai insopportabili, con la connessa possibilità di reperire risorse per abbattere il costo del lavoro e di alleviare lo stesso peso delle tasse.
Riuscissero davvero in questa che, allo stato, appare però ancora una impresa titanica, il professor Monti ed il suo governo passerebbero meritoriamente alla Storia.
Ma purtroppo la sensazione è che ancora una volta, al di là delle buone intenzioni dei singoli, un po’ tutti saremo costretti ad accontentarci solo della disadorna e nuda cronaca.
 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

Archivio