Lavoro: serve una riforma che non lasci sul terreno altre macerie

___________________________________di Dino Perrone

 

 
La ripresa dell’economia ed il rinvigorimento del tessuto sociale del Paese passano attraverso la valorizzazione del ruolo delle imprese e dei lavoratori. Per questo è sbagliato continuare a perseguire logiche inutilmente divisive e penalizzanti

Adesso che la riforma del lavoro è approdata in Parlamento, è più che legittimo che le nostre  imprese vogliano vederci chiaro dinanzi ad un reticolo normativo oltremodo complesso e che, a parere di molti esperti, in non pochi casi rischia di rendere ancora più rigido l’intero sistema senza peraltro ridurne i costi.
In questo senso sono apparse francamente poco comprensibili le reazioni di malcelato fastidio, manifestate in queste settimane dai vertici governativi, dinanzi ad un legittimo esercizio di critica da parte delle rappresentanze di categoria dei datori di lavoro.
Certo adesso è davvero il momento in cui il Paese, come suol dirsi, ‘faccia sistema’.
Riesca cioè a trovare una sintesi alta e feconda tra le posizioni espresse in questi mesi da tutti gli attori in campo.
Ma questo non deve significare che qualsiasi riflessione sia vissuta dal Governo come una intollerabile invasione di campo.
Una cosa appare chiara. La ripresa della nostra economia, e più in generale il rinvigorimento del tessuto sociale del Paese, non può passare attraverso una ingiustificata penalizzazione non solo delle imprese ma anche dei lavoratori.
In questo senso, ben vengano correzioni di rotta che assicurino una migliore tenuta del sistema e non rispondano a logiche inutilmente divisive o, peggio ancora, penalizzanti solo per qualcuno.
Ad esempio, una più avvertita tutela contro i licenziamenti economici fraudolenti non può che trovarci d’accordo.
L’Acai, del resto, si è sempre battuta contro qualsiasi abuso sui luoghi di lavoro e, nel solco degli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa, ha sempre invitato a considerare il lavoratore non come ‘una merce’ o un ‘bene fungibile’, bensì come la vera risorsa delle imprese. Il ripristino della possibilità del reintegro in caso di contestazione del licenziamento per motivi oggettivi economici dinanzi alla ‘totale insussistenza del fatto’ rappresenta, perciò, un argine necessario contro forme di abuso che non possono essere tollerate.
Detto questo, restano tuttavia non poche perplessità in ordine all’impianto complessivo di una riforma che, ancora oggi, risulta ancora troppo timida sul fronte delle politiche attive per il lavoro.
Ad esempio, continuano a latitare gli incentivi all’occupazione. Ed a soffrirne è proprio la cosiddetta ‘flessibilità in entrata’ sulla quale si appuntano le maggiori attenzioni e preoccupazioni da parte delle imprese.
Attenzioni che appaiono doverose e preoccupazioni che risultano fondate.
Allo stato attuale, infatti, il disegno di legge governativo inviato alle Camere appare ancora ben lontano dal poter realizzare l’ambizioso obiettivo di varare, come invece sostiene l’Esecutivo, un mercato del lavoro che sia ‘inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione’.
Questo discorso riguarda le stesse procedure di valorizzazione dell’apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, obiettivo fortemente perseguito anche dal precedente governo.
Obiettivo che però rischia di frantumarsi dinanzi alla realtà di un reticolo produttivo che, nel nostro Paese, è costituito in larga misura da imprese di piccole e medie dimensioni che, proprio per la loro fragilità strutturale, hanno bisogno non solo di sgravi contributivi ma anche di più adeguati incentivi per riuscire a stabilizzare gli apprendisti al termine del loro percorso formativo. Altrimenti c’è il rischio di non riuscire a garantire formazione né nuova occupazione.
Specialmente se non si farà qualcosa di concreto anche per provare a scalfire il muro che troppo spesso si frappone fra le banche e quegli imprenditori in crisi di liquidità  che chiedono un più agevole accesso al credito.
Ben vengano, in questo quadro, i contributi ideativi esterni al Parlamento. Ben venga quindi, da parte delle imprese, una funzione di critica e di stimolo all’operato del Governo. Critica e stimolo che possono servire appunto a migliorare la riforma del mercato del lavoro al vaglio delle Camere.
Certo, qualsiasi riforma, se davvero vuole rivelarsi incisiva, è sempre fatta per scontentare qualcuno.
Ma una riforma che lascia del tutto irrisolte alcune questioni di fondo rischia di spargere sul terreno solo ulteriori macerie destinate a rallentare il cammino del Paese.
 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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