Logori alibi, nuove certezze e giusto contesto

________________________________di Dino Perrone

 

 

Da qualche settimana il cosiddetto Jobs Act è diventato legge dello Stato. La nuova normativa sul lavoro basterà a creare occupazione o diventerà l’ennesimo motivo per fomentare altre lacerazioni nel Paese ?


Ora che c’è finalmente la legge, vediamo se torna anche il lavoro.

L’approvazione governativa, avvenuta nelle scorse settimane, dei decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act, appunto la nuova legge sul lavoro, secondo il premier Matteo Renzi ha addirittura una portata storica consentendo ad una intera generazione di vedere per la prima volta “la politica far la guerra non ai precari ma al precariato” attraverso norme  “destinate ad aumentare la flessibilità in entrata e le tutele in uscita”.

Ma è proprio così, al di là del tono fin troppo enfatico del nostro primo Ministro ?

Sarà il tempo a dire se questa è davvero la legge che occorreva al Paese.

Se aumenterà effettivamente l’occupazione, in special modo quella a tempo indeterminato, è ovvio che non si potrà che dare un giudizio globalmente positivo di una normativa che ora prevede, per i nuovi assunti, il contratto a tutele crescenti, l’abolizione dei contratti a progetto, l’obbligo del reintegro solo per i licenziamenti discriminatori ed una nuova assicurazione sociale, la Naspi, per la durata di 24 mesi per tutti i disoccupati involontari.

Restano le perplessità di quanti, e non sono pochi, ritengono che qualsiasi legge, per quanto buona, non possa di per sé sola creare lavoro. Questo perché, accanto alla legge, deve costruirsi il giusto “contesto”.

E resta, soprattutto, la sensazione che questa legge non può che provare a risolvere solo una parte del problema di fondo che attanaglia il nostro Paese.

Ed il problema globalmente inteso riguarda certo il lavoro ed il modo giusto per crearlo e difenderlo, ma anche il ruolo culturale e lo spazio sociale che si è disposti a voler riconoscere alle nostre imprese. Riguarda, quindi, appunto il “contesto”.

La tesi, già più volte manifestata nelle ultime settimane, che questa legge sia destinata a togliere ogni alibi alle imprese, che ora “dovranno” tornare ad assumere, è rivelatrice di un clima che rimane poco amichevole poiché sottintende l’idea che sinora il nostro apparato produttivo troppe volte, in passato, sia andato a nascondersi proprio dietro qualche alibi di comodo.

Si tratta di un approccio culturale, prima ancora che politico, del tutto sbagliato. Un approccio fuorviante e non aderente alla realtà.

Anche nei momenti più aspri di una crisi economica che ha rischiato di ridurre in brandelli interi comparti produttivi del Paese, le nostre imprese hanno semplicemente continuato a fare il loro mestiere. Lo hanno fatto provando a salvaguardare i livelli occupazionali ed a tenere in linea di galleggiamento un sistema che invece rischiava di arenarsi, come una balena spiaggiata che ha perso l’orientamento, restando preda di quanti, profittando della loro forza, erano pronti a ritagliarsi la parte più appetibile ed interessante.

Ed allora è il caso di ribadire, con la necessaria fermezza, che le imprese italiane non hanno inseguito e non inseguono alibi.

Le nostre imprese sono alla ricerca di certezze, non di alibi.

Certezze che possono venire solo da un quadro normativo chiaro e non farraginoso, che non prenda le mosse da pregiudizi punitivi nei confronti di quanti provano ad investire, intraprendere, produrre e creare ricchezza per il Paese.

E’ questo il “giusto contesto” che ancora manca per consentire, al sistema produttivo italiano, di creare nuova occupazione, fare ricerca valorizzando finalmente merito e competenza, rilanciare la domanda interna e reggere la pressione dei mercati internazionali.

Come detto, non basta una legge a creare lavoro. Occorre il “contesto”. Ma una legge, se equilibrata e non “ideologica”, può favorire l’affermarsi appunto di un clima diverso e più favorevole.

Lasciamo allora da parte i toni enfatici del governo, per cui ogni annuncio di provvedimento sembra sempre l’alba di un futuro radioso, il superamento di ataviche inerzie, la realizzazione di qualcosa di storico.

Stiamo ai fatti.

Ed i fatti dicono che, per mettere davvero la testa fuori dal tunnel, bisogna rilanciare sia l’occupazione che la domanda interna.

Quest’ultima rappresenta la leva fondamentale per la ripresa economica, se è vero che i dati relativi alle vendite di prodotti di largo consumo affidate solamente alla grande distribuzione valgono oltre sei miliardi di euro. Una leva che però bisogna stare attenti a non bloccare per esempio, per restare sempre in tema di giusto “contesto”, con l’aumento dell’Iva previsto dalla clausola di salvaguardia della legge di Stabilità.

La nuova normativa sul lavoro, quindi, può e deve rappresentare il primo passo di un percorso fecondo, non l’ennesima occasione per fomentare lacerazioni di cui francamente non avvertono alcun bisogno sia i lavoratori che le imprese.

Questa legge è dunque solo un primo passo. L’importante, per concludere il percorso, è avere chiara sin d’ora la direzione verso cui andare.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI