Le differenze fra noi e “loro”

di Dino Perrone

 

La crisi dei mutui che coinvolge  il sistema bancario americano  insegna come l’economia reale sia sempre  preferibile alle acrobazie speculative di certa finanza. Ma oltreoceano dimostrano almeno di saper risolvere i loro problemi. In Italia, invece, si preferisce voltarsi sempre dall’altra parte.

Cari associati,

da noi spesso si sente dire che bisognerebbe imitare l’America.
Guardare cioè al suo complesso sistema sociale, culturale, politico ed economico e prendere il meglio che offre, in tutti i citati settori, questo grande e generoso Paese.
Un Paese giovane, moderno, innovativo, ma che poggia su forti, condivisi e radicati ideali.
Non a caso nella Costituzione americana si richiama persino il diritto alla felicità. Un Paese nel quale è così presente questa attenzione alla sfera personale delle persone è un Paese che prevede la possibilità, per tutti, di avere una occasione.
A nessuno è negato infatti il diritto di giocarsi le sue carte e di vivere, quindi, il proprio “sogno americano”.

Anche in politica gli Stati Uniti non hanno paura del nuovo. Pensiamo ad esempio alle prossime elezioni presidenziali. Non sappiamo come andrà a finire tra repubblicani e democratici, ma già sappiamo che in ogni caso avremo comunque la significativa novità di un presidente di colore o di un vice-presidente donna.
Gli Stati Uniti, insomma, hanno molto da dirci e, probabilmente, da insegnarci.
Ma come tutti i grandi Paesi, anche gli Stati Uniti hanno grandi e spesso drammatici problemi.
La tempesta dei mutui, che ha rischiato di travolgere l’intero sistema bancario americano, ne è la più recente e clamorosa conferma.
Ma qui c’è la prima grande differenza tra noi e “loro”. 

Gli Usa i problemi di casa loro dimostrano di volerli affrontare sul serio, e probabilmente anche di saperli risolvere. Persino in maniera dolorosa, se necessario. A me ad esempio hanno molto colpito le immagini degli impiegati della fallita banca americana Lehman Brothers, uno dei colossi di Wall Street, che escono dal proprio ufficio trasportando i loro scatoloni e vanno in cerca di un nuovo impiego.
Lì comunque i problemi si risolvono, anche in questo modo ruvido e senza ammortizzatori sociali. In Italia, dove pure gli ammortizzatori sociali fortunatamente esistono, si preferisce invece avvitarsi sui problemi, sminuzzarli, sfaccettarli, rinviandone nel tempo la soluzione.
Il tutto aggravato da un sistema che, forse proprio perchè frantumato in tanti micro-interessi, tende inevitabilmente ad ingessarsi. Lo dimostra in maniera lampante l’elevato tasso di difficoltà che è presente nei tentativi di riforma del sistema delle relazioni industriali.
Oltreoceano si decide, da noi si temporeggia.

La conseguenza, e la differenza, è che gli Usa avranno pure grandi problemi ma restano tuttavia un grande Paese. L’Italia ha grandi problemi, ma non riesce ad essere davvero un grande Paese. E persino nei momenti di ripresa economica resta ferma al palo.
Tuttavia sarebbe profondamente sbagliato scivolare lungo il piano inclinato della mitizzazione di un sistema come quello americano, dove troppo spesso chi non ce la fa è destinato a restare indietro perché nessuno vuole aspettarlo. Ce lo insegna proprio la richiamata vicenda del crac finanziario che sta mettendo a dura prova gli Stati Uniti rischiando di trascinare nella crisi mezzo mondo.
Nel nostro Paese le ricadute sembrano al momento piuttosto contenute anche perché, come giustamente è stato sottolineato, da noi c’è un reticolo imprenditoriale composto da piccole e medie realtà che è impegnato a rendere sempre più competitivo il proprio prodotto.

Grazie alla piccola e media impresa, la cui pietra angolare è rappresentata dal comparto artigiano, in Italia si è messa in piedi una economia reale e non cartacea. Una economia che si sforza ancora di guardare alle persone, piuttosto che a derivati, futures ed altre acrobazie finanziarie.
E questa, almeno questa, è una nostra differenza in positivo rispetto al sistema americano.
Occorre allora mettere in grado queste nostre imprese di continuare ad affrontare la competizione internazionale, aggiornando gli strumenti normativi, fiscali e creditizi.
Servono piani di lungo periodo, che abbiano un respiro alto, che guardino ai traguardi futuri. Servono regole certe.

Occorre tornare ad intercettare il merito, valorizzandolo e premiandolo adeguatamente. In tutti i campi.
Questo chiede la piccola e media impresa. Questo occorre al nostro Paese.
Su questo, su tutto questo l’Acai continuerà la sua battaglia. Non per fare in modo che l’Italia somigli acriticamente agli Stati Uniti. Ma perché, come negli Stati Uniti, anche da noi dinanzi a grandi problemi ci siano risposte adeguate e non evasivi compromessi.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

Archivio