Le colpe dell’Europa, i ritardi dell’Italia

di Dino Perrone

Archiviate le elezioni per il Parlamento di Strasburgo, appare più che mai necessario riflettere su cosa occorre al nostro Paese per avvicinarsi davvero alla Comunità Europea

Cari associati,
il voto europeo è già alle spalle.
Sui suoi esiti si intratterranno ancora per giorni fior di politologi ed i protagonisti della scena politica italiana continueranno ad interpretare, secondo tatticismi ad uso interno, ciò che gli italiani hanno inteso dire con le elezioni del 6 e 7 giugno.
A noi, più modestamente, in questo spazio ci interessa riflettere su quanto, al di là delle facili propagande d’occasione, l’Europa sia sentita davvero come qualcosa di veramente importante per il nostro Paese.
Si è infatti molto discusso, nei mesi precedenti questo voto, su come costruire il consenso dell’opinione pubblica intorno al progetto di integrazione europea, per superare una percezione, in verità alimentata in una certa misura anche dalla nostra classe politica, di una Unione Europea troppe volte distante dai reali bisogni dei cittadini.
In questa rappresentazione Bruxelles e Strasburgo sono sempre state viste come le sedi di troppi vincoli, veti ed impedimenti. Dimenticando che tutti questi vincoli, veti ed impedimenti altro non sono che il frutto di accordi siglati dai governi nazionali, incluso il nostro.
Si tratta di vedere allora come è possibile rendersi soggetti attivi del processo di integrazione e, soprattutto, analizzare se la colpa di una Unione Europea percepita non come madre affettuosa ma come intransigente matrigna non derivi anche dall’arretratezza non solo economica ma anche culturale del nostro Paese.
Certo l’Europa, in tutti questi decenni, ci ha anche messo molto di suo per non farsi apprezzare adeguatamente.
Basti pensare ai ritardi in materia di politica estera comunitaria ed alle contraddizioni con cui è stato affrontato il problema dell’immigrazione. Basti pensare, ancora, a come le istituzioni europee in ambito economico si siano fatte trovare del tutto impreparate all’arrivo della valanga finanziaria che ha travolto tante certezze dei Paesi membri.
Ma se molto ci ha messo l’Europa, altrettanto se non di più è il ritardo accumulato dal nostro Paese per costruirsi una dimensione autenticamente sovranazionale.
A questo riguardo, spunti di riflessione vengono forniti in abbondanza dal ‘Rapporto  sulle tendenze del sistema produttivo italiano’ licenziato recentemente dall’Ufficio Studi della Banca d’Italia.
In questa ricerca si sostiene a chiare lettere che l’insufficiente crescita dell’economia italiana registrata in questi anni è figlia delle caratteristiche di fondo del nostro sistema industriale e produttivo, mostratosi incapace di fronteggiare le sfide competitive derivanti dalla globalizzazione dell’economia mondiale.
A questo si aggiunge, secondo Bankitalia, il ritardo accumulato nel cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie in materia di informazione e di comunicazione.
Non è un caso che sono appunto i settori a tecnologia medio-bassa a soffrire maggiormente, nel nostro Paese, l’attuale contrazione economica.
A partire dall’anno 2000, si legge ancora nel rapporto della Banca d’Italia, la crescita nel nostro Paese si è sempre attestata attorno all’1% annuo, a fronte di una media mondiale del 4%.
Inoltre, dalla metà degli anni Novanta le nostre esportazioni sul mercato internazionale dei beni sono diminuite di un terzo, a valori di prezzo e di cambi costanti.
Dinanzi a questi dati occorre quindi evidenziare come, a fronte di successi in campo internazionale che fortunatamente ancora arridono alle nostre imprese di eccellenza, resta la realtà di una industria italiana che nel suo complesso continua a perdere colpi sullo scacchiere della competizione internazionale.
E’ tutto questo che ci allontana dall’Europa. Non sono i vincoli ed i regolamenti di Bruxelles. Certo, anche questi ultimi aiutano in negativo, esasperando difficoltà di cui tenere conto.
Ma si tratta di difficoltà, è questo il punto nodale, che preesistono e nascono in Italia, non in Europa.
Il problema allora non è quello che stava scritto su alcuni slogan, più o meno fortunati, di questa ultima campagna elettorale.
Non si tratta, cioè, di portare l’Europa in Italia o, se si preferisce, l’Italia in Europa. Si tratta di essere europei ed italiani insieme.
Si tratta cioè di ragionare, e soprattutto di operare, in termini globali avendo sempre a mente le nostre specificità. Riuscendo anzi a trasformare queste specificità in risorse.
Questo sforzo ideativo e progettuale è stato finora insufficiente. Tuttavia non occorre scoraggiarsi e rifugiarsi nell’idea che l’Europa non ci riguardi.
Bankitalia arriva a sostenere che persino le debolezze strutturali del nostro apparato produttivo possono configurare, se ben gestite, nuove opportunità di sviluppo e di crescita. Ma occorre che, a monte, vi sia la consapevolezza che il momento è reso difficile dalle nostre fragilità e su queste ultime è necessario lavorare in profondità e senza dispersioni.
E’ questo il modo più maturo per ampliare orizzonti ed interessi.
Solo così vivremo davvero l’Europa, sentendoci cittadini di questa comunità allargata non solo nei pochi mesi che precedono la consultazione elettorale.
Solo così i rintocchi dell’Europa, che tutti gli altri già ascoltano da tempo, potranno farsi sentire adeguatamente anche in Italia.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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