Se quarantacinque minuti al giorno vi sembrano abbastanza…

di Dino Perrone

Non preoccupatevi perché è appunto questo il tempo che in Gran Bretagna, statistiche alla mano, i genitori dedicano ai figli. Ma anche da noi, pur senza il conforto di qualche studio specifico, c’è da scommetterci che è così. Se non peggio. Ed allora forse è invece  il caso di  preoccuparsi. O no ? 
 

Cari associati,
un sondaggio condotto in Gran Bretagna ha rivelato che genitori e figli si ritrovano a condividere mediamente solo quarantacinque minuti al giorno.
Di solito questa piccola parte della giornata è impiegata a mangiare oppure a guardare la televisione, ovvero a fare tutte e due le cose contemporaneamente. Quasi mai per parlarsi e guardarsi negli occhi.
Come ha lucidamente osservato il quotidiano londinese Daily Mail, questo sondaggio rivela un ‘preoccupante deterioramento dell’unità familiare’.
Ma certo non bisogna vivere in Gran Bretagna per accorgersi di questa deriva sociale che rischia di travolgere la famiglia. La subiamo tutti. Ed in molti casi, la alimentiamo.
Questo studio, condotto dalla società di rilevamenti statistici YoungPoll in occasione della Settimana della Famiglia, conferma, in realtà, una tendenza in atto in tutte le società occidentali avanzate.
Tendenza che descrive nuclei familiari nei quali sempre più di rado si mangia seduti a tavola tutti insieme ed in cui ognuno preferisce chiudersi nella propria camera, isolandosi nel suo mondo e nei suoi interessi.
Persino la televisione, che i più ottimisti avevano definito il nuovo focolare domestico attorno al quale la famiglia si riuniva, non è più in grado di fungere da collante tra le persone. Anzi, il moltiplicarsi in tante case di più apparecchi televisivi aumenta la frammentazione. La televisione, insomma, da focolare domestico è diventata dispersore domestico.
Quarantacinque minuti. Un tempo di una partita di calcio, recupero escluso. E mai come in questo caso, è giusto dire che la famiglia, intesa come comunione e condivisione di affetti e progetti, non è scesa in campo ed è rimasta negli spogliatoi.
Quarantacinque minuti. Neppure un’ora. Abbiamo poco tempo, questo è vero.
Ma quel poco che abbiamo sappiamo persino sprecarlo.
Oppure, se preferite, abbiamo tempo per tutto, dallo shopping alla navigazione su internet, ma non per ciò che è realmente necessario.
Sono nel giusto, a mio avviso, quanti denunziano come ormai il tempo dello stare insieme in famiglia sia diventato solo il tempo del consumo. Non a caso, nei fine settimana, i centri commerciali sono affollati di famiglie a caccia di acquisti.
Negli altri giorni, invece, sembra che la famiglia non esista. I suoi tempi sono scanditi, condizionati, compressi ed avviliti dal lavoro degli adulti che spesso, sempre più spesso, restano in ufficio anche ad ora di pranzo.
Allora ci si ritrova solo a cena, tutti stanchi e poco disponibili a parlare e soprattutto ad ascoltare.
E’ il tipo di società che abbiamo costruito.
Una società nella quale, come è stato acutamente osservato, si riconosce più importanza al lavoro produttivo rispetto a quello riproduttivo. Facciamo meno figli e cerchiamo più lavori.
Sono segnali preoccupanti, per tutti. Non è consolante ridurre il tempo familiare solo al consumo ed all’effimero. Bisogna riscoprire il gusto dello stare insieme.
Una inversione di rotta appare complicata, ma non per questo meno auspicabile. La famiglia forma l’uomo alla pienezza della sua dignità. Se viene meno la sua essenziale funzione educatrice, ne soffre il bene comune.
La Chiesa ci ricorda che i genitori, se pure non gli unici, sono pur sempre i primi educatori dei loro figli. Ad essi spetta esercitare con senso di responsabilità una opera educativa  che sia capace di trasferirsi dalla dimensione familiare a quella comunitaria e sociale.
E per fare tutto questo, francamente, quarantacinque minuti al giorno sembrano davvero pochi.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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