Il volto oscuro ed intollerante del nostro Paese

___________________________________di Dino Perrone

 
Secondo una indagine, promossa dalle Regioni e Province autonome, quasi la metà dei giovani italiani si dichiara razzista. Come è potuto accadere che i nipoti ed i pronipoti dei nostri emigranti abbiamo questo atteggiamento verso le altre etnie ?
 
Una società che non si preoccupa di quello che pensano le giovani generazioni è una società che non può avere futuro.
Questo è il rischio maggiore che corre oggi il nostro Paese. Ignorare le istanze dei giovani, non delineare il futuro, galleggiare sull’esistente.
Dico questo avendo davanti i risultati di una indagine, commissionata dalla Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, presentata nelle scorse settimane a Montecitorio nell’ambito delle iniziative dell’Osservatorio della Camera dei deputati sui fenomeni di xenofobia e razzismo.
Da questo studio emerge il profilo di un Paese nel quale quasi la metà dei giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventinove anni, oggetto di un accurato sondaggio statistico, non ha alcun problema a dichiararsi apertamente razzista.
Come è potuto accadere che i nipoti ed i pronipoti dei nostri emigranti siano, oggi, così chiusi ed intolleranti verso le altre etnie ?
Quali esempi sono stati loro forniti ? Quali politiche educative e sociali sono state sbagliate ?
Desta sgomento, infatti, questa diffusa avversione razzista che, nelle sue forme più estreme, ritiene addirittura che non esistano altre etnie accettabili. Da tutto ciò nascono le forme più odiose di ostentazione di superiorità, le spinte antisemitiche, un persistente bisogno di potenza e la stessa convinzione di inferiorità delle donne.
E’ l’Italia del rifiuto verso tutto ciò che è diverso. E’ l’Italia peggiore.
Una Italia irriconoscibile ed inquietante.
Un Paese timoroso e rancoroso, rinchiuso in un universo identitario che non tollera intrusioni, confronti culturali, scambi e mescolanze. E suscita particolare allarme il fatto che l’area escludente più radicale, pur non provando particolare simpatia per altre etnie, prenda di mira un target oramai ben preciso, rappresentato dai rumeni, dai rom e dagli albanesi.
Certo il fenomeno dell’emigrazione, specialmente nella sua prima dirompente fase, non è stato accompagnato da iniziative legislative adeguate.
Certo in questi anni sono state sciaguratamente sottovalutate le conseguenze che sul quotidiano degli italiani ha avuto l’impatto con culture così diverse, alcune delle quali a loro volta per nulla aperturiste.
Certo non è sempre facile vedere interi quartieri delle nostre città subire una radicale ed a volte scomposta mutazione ambientale e culturale.
Certo non è agevole vivere in un clima di insicurezza alimentato dalla saldatura fra la criminalità locale e quella di importazione.
Ma tutto questo non spiega, e meno che mai giustifica, il tratto razzista che si sta disegnando sul volto, e prima ancora nell’animo, del nostro Paese.
Le problematiche attinenti l’immigrazione sono state troppe volte affrontate separando la prospettiva della cittadinanza da quella del lavoro, in tal modo slegando i diritti da riconoscere agli immigrati dai loro doveri, a partire proprio da quello di contribuire al benessere sociale attraverso una attività lavorativa lecita e tutelata.
Questo, a mio avviso, è stato un errore storico che spiega, oggi, l’emergere di fenomeni odiosi di marca razzista.
Senza garantire loro un lavoro vero, si rischia di trasformare gli immigrati solo in assistiti pieni di alienazione e disperazione. E questa alienazione e disperazione non favorisce un rapporto corretto con il nostro Paese.
Senza un lavoro vero, si toglie agli immigrati la loro stessa dignità.
Educare all’accoglienza, educare al dialogo, includere e non escludere. La Chiesa insegna questo. A costruire ponti e non ad innalzare muri. Ad aprire il cuore, prima ancora che le nostre frontiere.
E’ un compito difficile, certo. Spesso faticoso e frustrante.
Ma crescere non è mai facile. Per le singole persone come per l’intero Paese. Specialmente quando si separano i diritti, da riconoscere a tutti, dalle conseguenti responsabilità, anch’esse a carico di tutti.
 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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