Il Meridione dimenticato

di Dino Perrone


 


 


Il Sud stenta a decollare, soffocato da ataviche incomprensioni, la principale delle quali riguarda l’approccio unidimensionale ai problemi che  attanagliano questa zona del Paese


 


Cari associati,


esiste ancora il Sud ? Esiste ancora, o forse sarebbe meglio chiedersi se c’è davvero mai stata, una coscienza nazionale su questo argomento ?


 


Il Meridione. Una fetta di Paese dalla quale sono partite milioni di persone negli anni delle grandi emigrazioni interne. Il Meridione dalla valigia di cartone tenuta insieme con lo spago. Il Meridione che affollava le pensiline delle stazioni, che prendeva il treno e saliva al Nord accompagnato da speranza ed angoscia, da sogni ed inquietudini. Il Meridione delle ‘piccole patrie’ ricreate nei tanti quartieri-dormitorio delle periferie industriali.


 


Certo ‘quel’ Meridione fortunatamente non esiste più. E’ cambiato. E’ entrato a far parte della memoria collettiva della Nazione.


 


Ma fanno benissimo coloro che sottolineano come la ‘questione meridionale’ resti ancora aperta nel nostro Paese, attualizzandola anche alla luce di alcuni provvedimenti presi dal Governo nazionale. Provvedimenti che in campo finanziario sono caratterizzati da troppe tasse e da un eccessivo prelievo fiscale che potrebbero avere effetti negativi sulla tenuta dell’economia meridionale, raffreddando i consumi e rallentando la crescita.


 


Il nostro Meridione ancora stenta a decollare, soffocato da storici ritardi e da ataviche incomprensioni.


 


La principale di queste incomprensioni riguarda l’approccio unidimensionale al problema che il Meridione ci pone davanti.


 


Ancora oggi si cerca di liquidare il tutto in una prospettiva meramente economica.


Più interventi finanziari, si è portati a ritenere, più sostegno al reddito, più fabbriche calate dal Nord, magari accompagnate da politiche tendenti a camuffare sempre il vecchio assistenzialismo, ed il problema sarà risolto.


 


Niente di più sbagliato, in questo approccio monocorde.


 


La ‘questione meridionale’, infatti, non è solo una questione di carattere economico. Essa è prima ancora una questione culturale.


 


Per troppi decenni si è provato a fare del Mezzogiorno una sorta di pozzo di San Patrizio, nel quale calare finanziamenti a pioggia e modelli produttivi che si sono rilevati più adeguati ad altre zone del Paese.


 


Il risultato è stato quello di bruciare enormi risorse economiche nazionali, ingenerando la convinzione dell’irrimediabilità del problema ed alimentando l’immagine di un Sud straccione e spendaccione, senza incidere sul tessuto sociale e, soprattutto, senza porre la necessaria attenzione alla cultura ed alle tradizioni di una parte del Paese che, invece, a quella cultura ed a quelle tradizioni è profondamente legato.


 


Si è trattato di una sorta di colonizzazione economico-culturale che non ha prodotto effetti duraturi, ma che anzi in troppi casi ha finito con alimentare distorsioni anche di carattere malavitoso.


 


Oggi che la Cassa per il Mezzogiorno non c’è più, appare necessario ripensare con urgenza ad un tipo di intervento che non abbia più i connotati della straordinarietà e dell’assistenzialismo.


 


Un tipo di intervento che rispetti l’esistente. Esistente caratterizzato oggi da un reticolo di medie e piccole imprese, specie nel settore artigiano, che costituiscono l’ossatura di una economia ‘virtuosa’ anche se ancora fragile. Una economia che intende avere gli strumenti adeguati per misurarsi con un mercato più vasto, che guardi ai Paesi del bacino mediterraneo ed a quelli oltreoceano.


Di quali interventi ha bisogno questa economia ? Cosa può fare lo Stato per agevolare la piccola e media impresa artigiana meridionale ? Semplicemente quello che dovrebbe fare per il resto dell’impresa artigiana presente nel Paese. Agevolare, cioè, l’accesso al credito.


 


Forse non basterebbe solo questo. Ma cominciamo almeno da questo.


 


Cominciamo cioè a creare un rapporto virtuoso fra sistema bancario, finanza ed imprese meridionali. Cominciamo a garantire un valido sostegno finanziario, in termini di flussi e di consulenza, alle realtà produttive meridionali impegnare a coniugare la tradizione con l’innovazione per valorizzare e promuovere, nel mercato interno ed internazionale, i propri prodotti.


 


Sembra, anche il nostro, solo un approccio meramente economico al problema meridionale. Sembra, appunto. In realtà esso sottintende proprio un aspetto culturale, di rapporti tra persone ed enti ed istituzioni.


 


Non sempre, infatti, l’imprenditore che opera nel Sud gode dello stesso trattamento riservato ai colleghi di altre zone del Paese. Ancora oggi egli deve scrollarsi di dosso una fastidiosa etichetta appiccicatagli da anni di assistenzialismo sciagurato. Ancora oggi, in troppi casi, egli deve combattere un sottile pregiudizio, alimentato da anni di politiche clientelari, che lo vede partire da condizioni più svantaggiate. In troppi casi, ancora oggi, egli deve mostrarsi più convincente, più serio, più affidabile, più motivato di quanto è comunemente richiesto ad altri.


 


Occorre allora che lo Stato, mediante i suoi strumenti normativi e formativi, sappia favorire un cambio di approccio anzitutto culturale che consenta un corretto rapporto fiduciario tra chi vuole intraprendere, investire, produrre ricchezza, e quanti sono in grado di agevolarne gli obiettivi mediante l’apertura dei propri canali di credito.


 


Occorre cioè consentire che possano esprimersi compiutamente le potenzialità presenti nel Meridione, ricercando direttamente nel Sud la soluzione dei problemi che lo angustiano.


 


Ecco quindi che la ‘questione meridionale’ torna ad essere questione nazionale. Proprio perché il Sud, per la soluzione dei suoi problemi, altro non chiede che di dotarsi degli stessi rimedi posti in atto nelle altre zone del nostro Paese.


 



Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI


 


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