I nostri giovani, così connessi e così distanti

___________________________________di Dino Perrone

 
Telefono cellulare,  computer,  webcam, iPhone. Con questi strumenti sempre più sofisticati oggi  è possibile essere in contatto con tutti. In ogni momento. Ma poi si è davvero ‘vicini’ a qualcuno ?
 
Nelle scorse settimane l’allarme è stato lanciato dalle colonne del New York Times.
Sempre più adolescenti occupano ogni momento della loro giornata utilizzando smart-phone, computer, televisione ed ogni altro tipo di strumento elettronico per connettersi ed, allo stesso tempo, anche estraniarsi dalla realtà. Un modo per stare contemporaneamente ‘dentro’ e ‘fuori’. Connessi e distanti.
A farne le spese è anzitutto il loro sonno. Sempre più frammentato e scarso. Ma anche la loro capacità di concentrazione ed il loro modo di vivere la realtà. Una realtà che, secondo il New York Times, rischia di diventare quasi esclusivamente virtuale.
Si tratta dei cosiddetti ‘nativi digitali’. Ragazzi arrivati in un mondo già ipertecnologico di suo, ma che hanno dimostrato una capacità innata nel maneggiare qualsiasi tipo di strumento e sviluppato ben presto un’abilità maggiore degli adulti.
Una generazione, di età compresa tra gli otto ed i diciotto anni, capace di restare incollata ad Internet per oltre sette ore al giorno, facendo più cose contemporaneamente, dallo studiare al navigare in rete, dall’ascoltare musica al mandare messaggi.
Giovani in contatto continuo tra loro e con l’intero mondo. Un mondo però virtuale, non fisico, che può essere illusorio e persino, in certi casi, pericoloso.
Gli esperti ci dicono infatti che troppa connessione virtuale conduce ad una comunicazione spuria, artificiale e che per tanti nostri ragazzi esiste il rischio di creare nel loro cervello una equivalenza tra amicizia reale e virtuale. Anzi, gli educatori arrivano a sostenere che nell’amicizia costruita solo in maniera virtuale, a distanza, tramite connessione in rete, si abbassa la frontiera del pudore proprio perché manca la corporeità.
Si tratta di un fenomeno planetario e di massa, favorito in Italia dalla diffusione della banda larga, dalle offerte sempre più intriganti dei profili telefonici per cellulari, capaci ormai di gestire un traffico di testi dalle dimensioni enormi.
Qualche dato. Nel Duemila soltanto il 37% dei nostri ragazzi aveva in casa un computer, il più delle volte sprovvisto di collegamento ad Internet. Oggi il 97% possiede un computer e si collega alla rete tutti i giorni. Statistiche in linea con le medie americane.
La Società Italiana di Pediatria calcola che oltre il 75% degli adolescenti utilizzi le chat ed i messenger e che il 41% abbia un proprio blog.
Giovani che sono qui ed ovunque. Contemporaneamente. Nel salotto di casa e nelle piazze del mondo. In famiglia e con gli amici. Giovani che hanno amplificato le loro abilità, imparando a fare tante cose insieme.
Questi nostri ragazzi sono figli di un mondo che ritiene di poter abbattere la solitudine facendo ricorso esclusivamente alla tecnologia.
Una amara illusione, purtroppo.
Appartengo ad una generazione che ha vissuto la propria adolescenza in una epoca in cui il massimo della possibilità di comunicare a distanza era rappresentato dalla corrispondenza epistolare, dal telefono di casa o dal gettone telefonico da inserire in qualche apposita cabina agli angoli delle strade.
Una generazione che quindi ancora oggi ha ben chiaro il valore insostituibile di uno sguardo, di un contatto vero, di uno scambio di parole, magari fugace, tra persone.
Un modo di comunicare oramai superato, malinconicamente diventato all’antica. Ma forse più vero e duraturo.
C’è la possibilità, infatti, che in questa moltiplicazione di contatti, facilitata dallo svilupparsi di tecnologie sempre più sofisticate ed accessibili, si smarrisca il valore e l’emozione che possono essere dati solo dall’irripetibilità di un incontro vero.
Nondimeno questo nuovo modo di comunicare, infarcito di termini spuri come ‘chattare’ o ‘postare’, mi incuriosisce ed affascina.
Ma nel contempo mi suscita anche domande. Una su tutte. Questi ragazzi così disinvolti dinanzi allo schermo di un computer sanno reggere lo sguardo spesso ruvido della realtà ?
La mia è una generazione cresciuta in fretta, in mezzo a mille difficoltà. Ma che è stata capace di comunicare. Di sicuro in maniera più incerta e frammentata dell’attuale. Ma anche in modo più diretto e, ritengo, più vero di come sia oggi possibile a i nostri ragazzi.
Una generazione che ha imparato, sulla propria pelle, che la vera solitudine si sconfigge con il cuore, non con i semplici e pure affascinanti artifici della tecnologia.
 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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