Dodici mesi da vivere con coraggio

di Dino Perrone

Il nuovo anno richiederà a tutti un grande impegno per uscire da una crisi sempre più invasiva. Le nostre imprese, come sempre, sono pronte a fare la loro parte. Ma occorrono più adeguati strumenti di intervento.


Cari associati,
brindiamo al 2009 nella consapevolezza che avremo davanti un anno da vivere con coraggio e sobrietà.
Gli analisti ci avvertono infatti che ci aspetta una recessione ancora più profonda rispetto a quella vissuta nei dodici mesi appena trascorsi, con un prodotto interno lordo che andrà ancora più giù dell’1,3% e con oltre mezzo milione di posti di lavoro a rischio.
La cosa peggiore, in questi casi, è chiudere gli occhi facendo finta che tutto vada comunque per il meglio, oppure restare preda di un pessimismo inconcludente. Entrambi questi atteggiamenti conducono infatti la nave Italia sugli scogli.
Per riprendere una tranquilla navigazione, al nostro Paese occorrono invece appunto coraggio e sobrietà.
Partiamo dal coraggio.
L’Italia è da tempo una nazione ingessata, dove qualsiasi innovazione si scontra con un policentrismo di poteri e conflitti che rimanda nel tempo la soluzione delle questioni.
Tuttavia oggi il nostro Paese è chiamato ad affrontare scelte difficili e non più rinviabili, a cominciare dal mercato del lavoro.
Occorre infatti avviare una significativa riforma del sistema. Un sistema costruito in epoche passate e la cui pietra angolare è costituita essenzialmente dai contratti a tempo indeterminato.
Accanto ad essi è adesso necessario includere nella contrattazione altre forme di lavoro che oggi non trovano adeguate garanzie. Penso in particolare al lavoro interinale, a quello legato alla realizzazione di progetti. Penso ancora alle tante forme di lavoro femminile ed a quello immigrato. Bisogna che tutti questi lavori trovino una cornice giuridica ben definita, con garanzie meno ‘ballerine’ di quelle attuali. Questo permetterà di coniugare in maniera più corretta ed efficace la produttività ed il salario, fornendo nuove opportunità in particolare ai giovani ed alle donne.
Ma tutto ciò bisognerà farlo salvaguardando però gli aspetti fondamentali del nostro sistema sociale.
E’ infatti evidente che la crisi economica che investe il nostro Paese colpirà anzitutto i lavoratori più marginalizzati, a cominciare dai cosiddetti ‘atipici’,  che saranno i primi a rischiare di uscire dal mercato del lavoro.
E’ un discorso di avvertita responsabilità sociale.
Questi lavoratori hanno dietro di loro le famiglie da mantenere, i mutui da pagare, le tante piccole e grandi incombenze che scandiscono la vita di ognuno. Per tutti costoro occorre la garanzia di una illuminata politica di sostegno al reddito che passa attraverso il potenziamento degli ammortizzatori sociali.
Da questa crisi, infatti, non si esce smantellando tutto. Non serve il piccone. E’ necessario piuttosto il cesello. Occorre cioè un paziente ed illuminato lavoro di scavo, capace di eliminare le scorie e salvaguardare redditi, professionalità, posti di lavoro.
In questa ottica può avere un senso, ed una efficacia, anche la paventata introduzione della settimana corta se ad essa sarà possibile affiancare altri meccanismi che le nostre imprese già adottano, quali la cassa integrazione a rotazione ed i contratti di solidarietà.
Ma tutti questi strumenti debbono trovare il conforto anche di una politica creditizia più generosa di quella attuale.
Oggi le piccole e medie imprese vivono una condizione di estrema sofferenza che chiama in causa proprio certe rigidità del sistema bancario italiano che deve mostrarsi capace di una maggiore apertura.
E’ auspicabile che l’attuale governo prosegua nel mostrare attenzione a questo tema delicatissimo, favorendo iniziative capaci di finanziare il sistema produttivo attraverso interventi mirati e modulati sulle singole esigenze.
Tuttavia, accanto al coraggio delle scelte difficili, occorre che il nostro Paese torni ad indossare anche l’abito della sobrietà. Nei comportamenti, nelle scelte, nelle vocazioni. Il tutto per contrastare un certo egoismo alimentato da una cafonaggine sociale che mette i brividi.
La sobrietà, ci ha ricordato in queste settimane l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, è ‘un segno di giustizia prima ancora che di virtù’. Essa è anche la premessa  per il ritorno a quella ‘economia etica’ sulla quale da tempo la nostra associazione chiama a riflettere le forze sociale, economiche e produttive del nostro Paese.
Essere sobri non vuol dire essere poveri. Al contrario, la sobrietà è la premessa per una arricchimento interiore che può rappresentare il modello più efficace per risolvere le tante irrisolte questioni che la nostra società, così fragile nelle sue complicate articolazioni, ci pone davanti.
Che il 2009 sia caratterizzato dal coraggio e della sobrietà è dunque il miglior augurio che possiamo farci in questa alba del nuovo anno.



Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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