Dimenticare la famiglia, dimenticare il futuro

___________________________________di Dino Perrone

 
Gli italiani, dicono le statistiche, sono sempre più insoddisfatti del tempo che dedicano alla vita familiare. Colpa di un modello sociale che mortifica gli spazi di riflessione e di crescita interiore.

In queste settimane si è tornati, un po’ tutti,  a parlare della famiglia italiana.
E già questa è una notizia, dal momento che di famiglia, nel nostro Paese, si parla sempre troppo poco e spesso anche solamente per dirne male.
A tale rinnovato interesse ha certamente contribuito il forum nazionale organizzato dal dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e svoltosi a Milano nella prima decade del mese. Ma i fattori di rischio cui è oggi sottoposta la famiglia italiana presentano una molteplicità di aspetti che meritano, ciascuno di essi, una attenzione non limitata al contingente.
La precarietà sociale, l’instabilità occupazionale, le difficoltà di fruizione dei pubblici servizi, la rarefazione degli interventi di sostegno statale sono tutti elementi che rendono incerto, per non dire difficile, il percorso delle nostre famiglie.
Elementi che scoraggiano chi vuole, oggi, costruirsi una famiglia e che, in situazioni estreme, minano la stessa stabilità delle famiglie già costituite.
Qualche dato.
Dal 1972 i matrimoni, nel nostro Paese, si sono quasi dimezzati. Il tasso di natalità è sceso ad 1,42 figli per donna contro il 2,3 che si registra negli altri Paesi. Negli ultimi anni è aumentato il numero delle separazioni come dei divorzi, con le prime in crescita del 3% rispetto al 2003 ed i secondi incrementati addirittura del 23% rispetto a cinque anni addietro. Inoltre ben il 70% delle separazioni ed il 41% dei divorzi riguarda coppie con figli.
Cifre sulle quali riflettere.
Cifre che denotano un disagio crescente e che chiamano direttamente in causa il modello sociale, culturale e politico che si è affermato negli ultimi decenni. Un modello che mostra la corda. Un modello che non piace più e che sacrifica gli spazi di riflessione e di crescita interiore.
Autorevoli indagini statistiche ci dicono infatti che gli italiani, zavorrati da troppe preoccupazioni, chiedono semplicemente di poter avere più tempo per stare in famiglia. Magari anche solo per riscoprire il piacere e la voglia di ascoltare, di rispondere, di abbracciarsi, di giocare con i figli.
Oggi questo tempo è ridotto all’osso, secondo gli esperti arriva a non più di venti minuti al giorno per entrambi i genitori, detratti quelli che vengono impeganti per il pranzo, la cena e per i mille appuntamenti quotidiani.
Non può certo meravigliare, allora, che il 62% degli italiani si senta ‘insoddisfatto del tempo che dedica alla famiglia’, secondo quanto si legge nel rapporto Eurofound che, nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europea, ha analizzato il tasso di conciliabilità tra lavoro e famiglia.
A tutto ciò si aggiunge l’inadeguatezza  delle reti di protezione. Attualmente solo l’1,4% del nostro prodotto interno lordo viene destinato alla famiglia ed alla maternità, laddove la media europea si attesta al 2,1%, con Norvegia e Danimarca addirittura al 3%.
E’ ancora possibile una inversione di rotta ?
La sofferenza del nostro sistema familiare è il risultato di anni di sostanziale mancanza di un credibile progetto politico in favore dei giovani e delle donne. I primi hanno visto ritardarsi nel tempo il loro ingresso stabile nel mondo del lavoro, e con ciò la possibilità stessa di crearsi una famiglia. Le seconde debbono ancora oggi sobbarcarsi oltre il 76% del lavoro familiare, e ciò impedisce loro di trovare una occupazione oltre le mura domestiche.
Del resto proprio la mancanza di servizi adeguati induce molte donne a rinunziare al lavoro dopo la maternità. La conseguenza è che la quota di famiglie ‘monoreddito’ in Italia è aumentata in maniera esponenziale ed il tasso di occupazione femminile è rimasto fermo al 46%.
Dinanzi a questa situazione occorre uno sforzo congiunto teso a valorizzare il ruolo e la centralità della famiglia come principale elemento di coesione e tenuta sociale. A partire ad esempio da una nuova tipologia di assegno familiare  e da più incisive forme di agevolazione fiscale.
Giustamente, dinanzi alle difficoltà dell’economia, in molti parlano di ‘welfare privato’ delle famiglie che ha consentito di sopperire alle lacune del sistema pubblico e di attutire l’impatto altrimenti ben più devastante della crisi. E’ il riconoscimento doveroso di una funzione di ‘supplenza’ che  meriterebbe ben altra attenzione da parte del sistema politico.
Dimenticare il valore della famiglia, infatti, significa dimenticare il futuro. Vuol dire rinunciare a darsi un orizzonte, a definire una prospettiva.
Vuol dire, semplicemente, non credere più nel nostro Paese. 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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