Crescere, che fatica !

di Dino Perrone

 


L’Italia registra il tasso di sviluppo più basso fra i Paesi dell’Unione Europea. E’ necessario invertire questa tendenza, prima che sia troppo tardi. E che le nuove generazioni ci presentino un salatissimo conto


 


Cari associati,


credo che tutti, da piccoli, abbiamo sbirciato almeno una volta tra gli scaffali delle cucine delle nostre madri e delle nostre nonne. Era un gioco innocente quanto intrigante.


Dinanzi ai nostri occhi, guidati dalla fame del nostro stomaco, si apriva un mondo misterioso e profumato. Un mondo fatto di confezioni colorate, di scatole semiaperte, di zucchero sigillato in vasi di vetro, di marmellate ancora intatte.


Ed in mezzo a questi scaffali, magari sul fondo di qualche vecchia credenza, spuntava sempre una confezione di lievito. Ai nostri occhi quello era l’ingrediente più magico. Serviva soprattutto per i dolci, serviva a far crescere la pasta per le torte,.


Poche dosi e via. Tutto si trasformava, si ingigantiva, cresceva.


Oggi queste innocenti sensazioni sono scomparse. I bambini non hanno più bisogno di sbirciare in cucina. Tutto è già esposto al supermercato.


Viviamo un’epoca preconfezionata, se non addirittura precotta. Ogni cosa ci viene offerta già pronta per l’uso, da consumare in fretta, senza assaporare, senza gustare. Senza dover aspettare.


Eppure, proprio oggi che tutto sembra facile ed immediato rispetto a quando eravamo bambini, in tanti campi manca proprio l’elemento più magico. Il lievito.


Lo cercano vanamente sia la politica che l’economia. Il lievito per far tornare a crescere questo nostro Paese che, pur presentando in tanti settori autentici picchi d’eccellenza, continua a far registrare il tasso di sviluppo più basso fra i membri dell’Unione Europea.


Cresciamo poco. Cresciamo con fatica. Spesso cresciamo anche male.


L’Italia ribolle di energie represse, che vogliono liberarsi, che vogliono potersi esprimere. Ma non si  riesce a scoperchiare la pentola.


Quale lievito occorrerebbe ?


Per noi artigiani di ispirazione cristiana la risposta è addirittura scontata. Occorre il lievito della solidarietà. Occorre cioè riscoprire il valore etico e sociale dell’agire in campo economico e politico. Occorre riscoprire il valore del servizio, la dimensione del donarsi agli altri.


Il tutto tradotto in concrete opzioni politiche e lungimiranti strategie economiche che ridiano slancio al nostro Paese, oggi purtroppo ancora ripiegato su se stesso, sulla difensiva. Soprattutto, incapace di decidere.


Una di queste indecisioni riguarda la riforma del settore pensionistico.


In questo campo, forse come mai in passato, l’attuale generazione rischia di  porre una pesante ipoteca sul futuro dei giovani. L’allarma lanciato nelle scorse settimane dai vertici dell’Inps non lascia troppo spazio ad equivoci. La garanzia dei conti in ordine sino al 2050, ha dichiarato il presidente dell’Inps Gian Paolo Sassi dinanzi alla Commissione bicamerale sugli enti previdenziali, si avrà solo mantenendo lo scalone previsto dalla legge Maroni e non rinunciando alla revisione dei coefficienti.


 Se questo è il dato con il quale fare i conti, è necessario allora ripensare con urgenza non solo ad una riforma delle pensioni che non penalizzi il presente ed il futuro, ma anche al modello produttivo che abbiamo davanti.


Un modello nel quale, appunto, gli spazi della solidarietà che potrebbero essere aperti dal ruolo sociale delle imprese risultano purtroppo residuali.


E’ questo un tema sul quale si registra una colpevole disattenzione da parte del mondo politico.


Sappiamo bene che la classe dirigente del nostro Paese chiede all’imprenditoria italiana anzitutto di massimizzare i profitti, in modo da realizzare la crescita economica ed aumentare il gettito fiscale.


Tuttavia siamo convinti che il ruolo delle imprese, in una democrazia realmente matura e partecipata, debba andare oltre il mero apporto economico.


Siamo cioè convinti che le nostre imprese siano chiamate anche a svolgere un ruolo sociale.


Siamo convinti, in buona sostanza, che è possibile coniugare etica ed economia. E’ cioè possibile delineare un modello di impresa che sia doverosamente attento alle esigenze di bilancio ma che tuttavia, a queste esigenze, non sacrifichi del tutto la possibilità di ridefinire in senso altruistico la propria presenza all’interno di una comunità.


Da questo punto di vista, il comparto artigianale ha molto da offrire. Il vasto reticolo costituito da piccole se non addirittura microimprese fornisce, non da oggi, concreti esempi di solidarietà e sviluppo sociale del territorio. Lì dove opera con successo una impresa artigiana ci sono opportunità, iniziative, sollecitazioni che vanno oltre la cerchia dei lavoratori occupati, riflettendosi a cascata sul benessere e la tenuta complessiva della singola comunità.


Non a caso, già nell’enciclica Mater et magistra Papa Giovanni XXIII ha sottolineato il contributo che le imprese artigiane offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società. E la Chiesa, nel Compendio della dottrina sociale, si è più volte richiamata ai valori del mondo artigiano per sottolineare la necessità che tutti i componenti dell’impresa siano ‘consapevoli che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi personali di qualcuno‘.


Dall’esame dei dati più recenti a disposizione, oggi risulta che per ogni 5 nuovi posti di lavoro attivati in Italia ben due fanno riferimento al mondo artigiano. Questo a dimostrazione del peso che il nostro comparto ha nell’equilibrio generale del Paese.


Un peso che ne aumenta le responsabilità non solo economiche, ma appunto anche sociali.


Favorendo allora la piccola e media impresa, anche attraverso incentivi e defiscalizzazioni, il mondo politico italiano potrebbe davvero ritrovare il giusto ingrediente che manca alla crescita del nostro Paese. Quel lievito solidale che oggi fatica a manifestarsi.


E tutto questo prima che le nuove generazioni, a cui di questo passo rischiamo di ipotecare non solo le pensioni ma persino la speranza, ci presentino un salatissimo conto.


 


 


 


 


 


 


 


 



Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI


 



 


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