2007, l’anno della formazione permanente ?

di Dino Perrone


 


Siamo il Paese più industrializzato d’Europa, ma le nostre aziende producono meno ricchezza e non reggono la competizione. Colpa della politica, che non  investe abbastanza sull’innovazione


Cari associati,
una indagine commissionata a fine 2006 dal quotidiano ‘la Repubblica’ rivela che gli italiani hanno fiducia più nelle organizzazioni che radunano l’imprenditoria italiana che nel Parlamento.
Solo il 23,7% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di avere molta fiducia nel Parlamento, mentre il 25,9% ne ha nelle associazioni degli imprenditori.

Personalmente si tratta di un dato che non mi sorprende. Sono tante e tali, infatti, le occasioni di disaffezione verso le istituzioni pubbliche che si registrano quasi con cadenza quotidiana. Tuttavia, pur non suscitando sorpresa, questo dato non manca di preoccupare.

Non si può, infatti, non avere a cuore il corretto rapporto fra i cittadini e le istituzioni, fondamento essenziale e collante indispensabile per una democrazia davvero lontana dai rischi di qualche pericolosa involuzione.

Questo rapporto, che era stato molto forte nel secondo dopoguerra, si è sfilacciato nel corso degli ultimi decenni, lasciando oggi un Paese sospeso fra sfiducia e speranza, con segnali intermittenti di ripresa economica cui si accompagnano però pericolose cadute di densità morale.

Sono tempi difficili, per tutti. E sono tempi irti di difficoltà anche per la stessa politica, posta sul banco degli imputati per la sua crescente incapacità di governare i fenomeni sociali.

Una politica che appare sempre meno in grado di parlare lo stesso linguaggio della gente, di farsi carico dei suoi problemi, di indicare una soluzione e perseguirla con coerenza sino in fondo.
Eppure, a mio avviso, i tempi sono maturi proprio per una reazione etica che riporti la politica al centro del dibattito nazionale non più per le sue manchevolezze ed insufficienze, ma proprio per la sua capacità di indicare la strada di un vero cambiamento.

Come annunciato nel nostro congresso di Bari, l’Acai intende impegnarsi anche in questo campo, esercitando una incessante azione di stimolo e di confronto nei riguardi delle forze politiche, incalzandole sui temi della solidarietà, dell’occupazione, dell’accoglienza e della formazione umana e professionale.

Sotto questo ultimo aspetto, in particolare, crediamo ci sia molto da fare.

Noi dell’Acai ci stiamo attrezzando adeguatamente. L’Ufficio Studi della nostra associazione è lo strumento privilegiato per elaborare una incessante opera di stimolo, di ricerca, di formazione che renda il sistema produttivo italiano, con riferimento particolare al comparto artigiano, davvero in grado di misurarsi ad armi pari sugli scenari internazionali.

C’è un dato sul quale riflettere. Il nostro Paese registra il più alto numero di aziende a livello europeo. Quasi settantamila sono quelle operanti nel solo ramo alimentare, mentre la ricca Germania si ferma alla metà e la Francia supera di poco le sessantottomila unità produttive. Eppure Germania e Francia producono, con le loro aziende, una ricchezza significativamente superiore a quella delle consorelle italiane.

Da cosa deriva questo scarto economico ? Come si spiega il divario esistente, in termini di ricchezza imprenditoriale, fra l’Italia e le altre realtà europee ?

Le analisi, come sempre, si sprecano. 

E come spesso avviene, purtroppo ci sono anche coloro che con estrema faciloneria puntano il dito contro il frazionamento del sistema produttivo italiano, allo scopo di criticare la piccola e media impresa che sarebbe incapace di competere con i colossi vicini.

Questa analisi, a mio avviso, non coglie l’essenza del problema e serve solo ad ingenerare qualche interessata confusione a tutto vantaggio della grande impresa.

La causa primaria di questa divaricazione tra il numero delle nostre aziende e la loro capacità di produrre ricchezza è infatti rappresentata non certo dalle loro piccole dimensioni, ma dai ritardi accumulati dal nostro sistema produttivo sul fronte della formazione professionale.

Senza il supporto di una formazione professionale adeguata, infatti, qualsiasi attività imprenditoriale è destinata a declinare rapidamente.

Eppure il nostro Paese già nel 1996 aveva varato un ‘patto per il lavoro’ che prevedeva interventi governativi a sostegno della formazione, affidando proprio alle parti sociali le responsabilità di indirizzo e programmazione.

Dieci anni dopo, il bilancio non è molto consolante.  Gli interventi dispiegati in ambito formativo in questo periodo non si sono mostrati al passo con i tempi, quasi mai traducendosi in un reale sviluppo professionale capace di garantire, specie in momenti di stagnazione economica, una migliore occupabilità dei lavoratori. E questo anche in presenza di circa 30 miliardi di euro ricevuti dall’Unione Europea nel periodo 2000-2006.

Del resto, è significativo che lo stesso sindacato, tranne lodevoli eccezioni, non ha mai inteso porre il tema della formazione quale elemento essenziale della contrattazione aziendale.
Si tratta di una situazione alla quale bisogna reagire, tenuto conto che a partire da quest’anno, anche in conseguenza dell’allargamento dell’Unione Europea, i fondi per la formazione in arrivo da Bruxelles sono destinati a diminuire.

Ecco allora che alla politica italiana, nel suo insieme, si presenta una grande occasione per recuperare credibilità e consenso da parte dei cittadini.

La politica deve impegnarsi affinché il 2007 sia davvero l’anno del rilancio della formazione professionale.

Partendo dal basso, dalla singola impresa, dalla bottega. Facendo in modo che queste realtà produttive che tanto hanno dato e danno al nostro Paese possano attrezzarsi sempre meglio per le sfide future. Alleggerendo e non appesantendo, ad esempio, i costi dell’apprendistato. Favorendo anche in ambito fiscale la ricerca, l’innovazione e quella cultura dell’intraprendere che ha bisogno di slancio e non di brusche frenate.

In tal modo la politica tornerà a parlare il linguaggio della gente, e la gente, forse, tornerà ad avere nei riguardi della politica la stessa fiducia che, come rivelano i sondaggi, mostra di riporre nelle imprese.


 



Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI


 



 


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