Avvicinare i giovani per formare l’eccellenza

___________________________________di Dino Perrone

 

Questo l’obiettivo che deve perseguire l’artigianato dei prossimi anni. Una sfida culturale e politica, per creare nuove opportunità lavorative e non disperdere un patrimonio di conoscenze ed esperienze che tutti ci invidiano

 

Strano Paese, il nostro. Un Paese capace di continuare a lamentarsi pur avendo già oggi a disposizione, senza sforzi eccessivi, più di una soluzione ai suoi problemi.

Provo a spiegarmi.

I principali indicatori e studi statistici confermano che, nonostante l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile che da anni affligge l’Italia, i nostri ragazzi e le nostre ragazze continuano pervicacemente a sottovalutare la possibilità di imparare un mestiere manuale.

Piuttosto, preferiscono intraprendere percorsi formativi che difficilmente, vista la persistente congiuntura economica largamente sfavorevole, potranno condurre un domani a sbocchi lavorativi duraturi.

Infatti, secondo una recente indagine, per ogni 100 italiani tra i 25 e i 29 anni che lavorano solo 5,8 fanno un lavoro manuale. Tra i 15 e i 19 anni fa lavoro manuale non specializzato l’11% dei nostri concittadini, mentre tra i 20 e i 24 anni fa lavoro manuale il 7,5% degli italiani che lavorano.

Si spiega anche così perché, mentre nel mondo intero si continuano ad identificare con il ‘made in Italy’ quei prodotti che sono sinonimo di eleganza, buon gusto ed eccellenza, nel nostro Paese si fatica maledettamente a trovare, ad esempio, bravi sarti e provetti calzolai.

Del resto, di cosa meravigliarsi ?

Siamo diventati la società dove il maxi-store ha soppiantato le botteghe artigiane, sfrattandole dai centri storici. Un fenomeno che, con il passare del tempo, ha assunto contorni addirittura brutali, trasformando nel profondo il paesaggio urbano delle nostre città e modificando radicalmente le abitudini dei consumatori.

Un fenomeno che, tuttavia, non può che destare legittima preoccupazione per quanti hanno a cuore le sorti dell’artigianato italiano.

Una fucina di talenti ed un giacimento occupazionale che non debbono andare dispersi.

Sarebbe infatti delittuoso assistere in modo inerte al depauperarsi di un patrimonio di idee e di creatività che, per storia e competenze, non ha certo eguali nel mondo.

Un ceto politico realmente avvertito dovrebbe agevolmente comprendere che occorre ridare finalmente al lavoro manuale la sua indiscutibile dignità non solo economica, ma anche sociale.

La manualità, del resto, non esclude affatto la concettualità.

Dietro ogni singolo gesto artigiano vi è il frutto di una ricerca e di uno studio che possono aver richiesto anche degli anni.

Cucire a mano una scarpa oppure un abito richiede infatti la capacità di assecondare un processo creativo di difficile esecuzione. Servono competenze e conoscenze che, per essere acquisite, hanno bisogno di tempo, di fatica, di dedizione.

Competenze e conoscenze che possono condurre alle vette dell’eccellenza creativa e produttiva e consentire al nostro Paese di uscire dalle secche della crisi.

Ma per fare tutto questo occorre favorire i processi di ricerca e di innovazione. Favorirli senza riserve, attraverso incentivi e defiscalizzazioni. Accompagnando le inevitabili trasformazioni sociali ed economiche con la giusta difesa e valorizzazione del lavoro artigianale, in modo da determinare anche un cambio culturale che faccia riavvicinare finalmente i giovani ai mestieri manuali per formarli poi all’eccellenza.

La sfida che attende l’artigianato dei prossimi anni si gioca appunto sul fronte della ricerca, dell’innovazione e dell’eccellenza che debbono saper attrarre e formare le nuove generazioni.

Una sfida, insomma, sulla qualità.

Una sfida da vincere. Non solo per creare nuove opportunità lavorative, ma anche per non disperdere quel patrimonio di esperienze e conoscenze cui ho fatto cenno prima che tutti ci invidiano. E che, quando possono, provano a copiare con esiti non certo brillanti.

Abbiamo assistito, nel corso di questi ultimi anni, al definitivo tramonto dell’idea del posto fisso, soppiantato dalla crescente esigenza di una maggiore flessibilità che, però, nei fatti si è accartocciata in una dolente e disperante precarietà.

Una credibile via d’uscita, che consenta al Paese di non sfarinarsi definitivamente sotto i colpi della crisi economica, può essere rappresentata proprio dalla riscoperta e giusta valorizzazione dei mestieri tradizionali.

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI