Se le culle restano ancora vuote…

___________________________________di Dino Perrone

 

In Italia, oltre all’occupazione, è crollato anche il tasso di natalità. Ennesima brutta notizia per un Paese attraversato da mille inquietudini e che continua a mostrarsi assai preoccupato per il proprio futuro

Il Rapporto 2014 sullo stato del Paese, licenziato in questi giorni dall’Istat, contiene molteplici elementi di preoccupazione.

Da esso emerge infatti l’immagine di una Italia sostanzialmente immobile, quasi impaurita, con buona pace quindi di quanti hanno visto invece nel recente voto europeo l’affermarsi di una società aperta all’ottimismo ed al futuro.

Gli indicatori dell’Istat raccontano un Paese completamente diverso. Fragile e frammentato, preda di vecchi e nuovi egoismi, sempre meno capace di prendersi cura delle sue fasce più deboli.

Un Paese nel quale da un lato le famiglie crescono di numero, passando dal 2006 al 2013 da 23 a 25 milioni, ma dall’altro diminuiscono nelle dimensioni, attestandosi in media ad appena 2,4 componenti per nucleo.

Effetto, quest’ultimo, della sempre più evidente contrazione delle nascite. Nel 2013, ad esempio, sono stati iscritti all’anagrafe appena poco più di mezzo milione di bambini.

Un dato che rappresenta un significativo peggioramento persino rispetto al minimo storico delle nascite registrato nell’oramai lontano 1995 e che vede i livelli di fecondità delle mamme italiane ben al di sotto della media europea.

Un dato destinato a pesare come un macigno anche nel prossimo futuro, consolidando il nostro Paese tra quelli con l’indice di vecchiaia tra i più alti al mondo. Ogni cento giovani con meno di quindici anni, infatti, oggi si contano in Italia 151 anziani ultrasessantacinquenni.

Siamo insomma una società che invecchia a ritmi vertiginosi e nella quale, per tanti motivi, troppe culle restano per scelta desolatamente vuote.

Tutti segnali non certo di vivacità e di ottimismo. Semmai rivelatori di una diffusa e sempre più radicata inquietudine che ormai attraversa senza distinzioni l’intera società italiana.

Una società nella quale il perdurare della crisi economica sta mettendo seriamente a rischio la tenuta della rete parentale che, secondo l’analisi dell’Istat, negli anni a venire ‘sarà sempre meno in grado di fornire aiuti ai suoi membri più fragili’.

Non a caso l’indicatore di povertà assoluta, in un solo anno, è balzato di ben 2,3 punti attestandosi attualmente all’otto per cento della popolazione. Una percentuale da brivido che si aggiunge a quel 33,5% di famiglie monogenitoriali con figli minori esposte al rischio di persistenza nella povertà.

Per troppi nuclei familiari mettere al mondo i figli, in queste condizioni, da sconfinato atto d’amore rischia di ridursi ad uno sconsigliabile quanto pericoloso azzardo.

Siamo davvero alle prese con quella che il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ha definito una ‘notizia bruttissima che non fa bene al Paese e non fa bene alle famiglie’.

Una notizia accolta però da buona parte della politica, ancora immersa nelle analisi del voto europeo, con un sostanziale assordante silenzio.

Appare invece più che mai opportuno e doveroso avviare una riflessione ad ampio raggio sul profilo di un Paese che anche in questo caso sembra limitarsi a registrare, se non proprio a subire, radicali cambiamenti sociali non pensando minimamente di intercettarne le cause ed approntarvi efficaci rimedi.

Ed i rimedi, i correttivi, gli aggiustamenti non possono certo venire da soli. E’ compito appunto della politica porvi mano in maniera concreta e lungimirante.

Per contrastare una disgregazione sociale sempre più evidente, servono iniziative legislative adeguate che siano di efficace supporto e sostegno alla famiglia. Senza se e senza ma.

Politiche che guardino a tutti. Ai giovani come agli anziani. Politiche che guardino oltre il contingente e che affrontino i nodi strutturali di una società che, lasciando le proprie culle desolatamente vuote, mostra sempre meno coraggio nell’affrontare il futuro.

L’Italia, se vuole tornare a crescere e sperare in un domani migliore, deve poter attingere a nuovi giacimenti di fiducia.

E certo per restituire un po’ di entusiasmo nel futuro non possono bastare, da soli, gli ormai famosi ottanta euro mensili in più nelle buste paga degli italiani.

Per ridestare e far ripartire davvero il Paese serve una scossa salutare, non questo piccolo formicolio sotto pelle.

Aspettiamola, allora, questa scossa. Non perché dobbiamo per forza mostrare una fiducia acritica nel premier Matteo Renzi. L’aspettiamo, questa scossa, perché vogliamo piuttosto continuare a poter nutrire fiducia nel nostro acciaccato ma pur sempre stupendo Paese.

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI