Tra voglia di sparare e voglia di sparire

________________________________di Dino Perrone

 
 
Gli ultimi tragici fatti di cronaca hanno mostrato il volto più inquietante e drammatico di un Paese che ha sempre meno rispetto per la vita. Una spirale di violenza che ci interroga sul tipo di società che rischiamo di lasciare in eredità alle nuove generazioni.

Morire per niente.
Morire dinanzi ad un circolo ricreativo, a poco più di vent’anni, vittima di un pestaggio violento che nessuno è stato in grado di fermare. Come è successo ad Alatri, provincia di Frosinone.
Oppure morire inseguendo un rapinatore che ha provato a portarti via l’incasso della giornata. Come è avvenuto a Budrio, provincia di Bologna.
O ancora morire dentro casa, dopo aver visto violata la propria intimità affettiva e domestica da un ladro. Come è già avvenuto tante, troppe volte in passato.
Morire in tanti modi, tutti ingiusti. Tutti violenti.
E’ l’Italia di oggi, purtroppo. L’Italia dove il rispetto della vita conta sempre meno. Dove appunto si può incontrare la morte ad ogni passo. Dove ormai tutti siamo sempre meno preparati alla vita, a rispettarla, a proteggerla. La nostra e quella degli altri.
Le cronache delle settimane che ci hanno condotto alla Santa Pasqua grondano purtroppo di sangue e indignazione.
C’è un senso di insicurezza che stride con l’atmosfera di partecipazione e gioia che dovrebbe invece caratterizzare il periodo pasquale.
A questo senso di insicurezza si accompagna un rancore diffuso.
Rancore anzitutto verso la politica, vista ancora una volta come del tutto incapace di calarsi nel vissuto quotidiano delle persone. Un rancore indistinto che non prova a fare la tara delle varie posizioni e situazioni, ma che mette insieme tutto ciò che ribolle nel Paese per una condanna generale che non prevede alcuna possibilità di appello.
Rancore, poi, verso ogni forma di diversità, di alterità rispetto a noi stessi. Rancore che porta a ragionare per categorie, o peggio ancora per etnie.
Si invocano interventi, si propongono soluzioni. E da parte di qualcuno si specula in maniera persino indecorosa sul dolore della gente. 
Stiamo imboccando una china pericolosa, a mio parere, perché come sempre violenza chiama altra violenza. C’è infatti in giro una spaventosa sete di giustizia fai da te che non intende aspettare neppure il responso delle sentenze. 
Tende a farsi largo l’idea che il cittadino, dinanzi ai ritardi della politica ma anche del sistema giudiziario, abbia il diritto non solo di difendersi per conto proprio ma anche, appunto, di emettere ed eseguire le condanne.
Rabbia incontrollata, senso di abbandono, sfiducia nelle istituzioni. Tutto contribuisce ad alimentare un clima velenoso che rende l’aria sempre più irrespirabile.
Siamo ad una passo dal legittimare la legge del taglione. Occhio per occhio, dente per dente.
Riusciremo a fermarci in tempo ? Oppure questa spirale incontrollata finirà per travolgere le fondamenta stesse del nostro vivere civile ?
E’ davvero il caso di cominciare ad interrogarci sul tipo di società che, di questo passo, rischiamo di lasciare  in eredità alle prossime generazioni. Una società sempre più sola, sempre più dura.
Certo occorrono nuove leggi ed è opportuno ripensare ad alcuni aspetti giuridici della legittima difesa per adeguarli alle mutate realtà. Ma le leggi, da sole, non bastano.
Come non basta un maggior controllo del territorio se ad esso non si accompagna una incisiva attenzione al disagio sociale che cova nelle mille periferie dimenticate delle nostre città. In quei luoghi cioè dove si incrociano povertà diffuse, solitudini e precarietà di migliaia di persone.
Oggi come oggi rischiamo invece di affidarci ad un pendolo inquietante che oscilla tra la voglia di sparare e quella di sparire.
Sparare per difendere se stessi, i propri cari, il proprio mondo affettivo e materiale. Oppure sparire, provare a nascondersi, evitando di mescolarsi con le persone e misurarsi con le difficoltà di una vita sempre più aspra.
In entrambi i casi, tutto ciò che è situato oltre il nostro uscio di casa ci appare come pericoloso, cattivo, da tenere a bada se non proprio da evitare.
Ma tutto questo vuol dire rinunciare alla vita. Rinunciare a difenderla. La nostra come quella degli altri. E non possiamo permettere che questo accada.
Dobbiamo allora convincerci che non avremo mai abbastanza pistole per difenderci, sempre ammesso di essere poi capaci di usarle. E che sono invece altre le “armi” e le “corazze” che ci occorrono per affrontare, nel modo giusto, la vita.


 


Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI