La sfida da vincere

________________________________di Dino Perrone

 
 
L’approvazione definitiva delle nuove norme di contrasto alla povertà assoluta rappresenta un segnale positivo. Ma ora occorre dotare il Paese di una rete di monitoraggio ed intervento più efficace e puntuale di quella esistente.

Forse ci siamo.
Con l’approvazione da parte del Senato, lo scorso nove marzo, del disegno di legge delega sul contrasto alla povertà, si è messo in moto un meccanismo che, salvo ripensamenti, nel giro di pochi anni potrà dotare il nostro Paese di un reddito minimo universale contro la povertà assoluta, integrato dalla presa in carico dei beneficiari da parte dei servizi sociali territoriali sulla base di un progetto di reinserimento.
Si tratta di una novità rilevante perché, nelle intenzioni del legislatore, viene introdotta una misura nazionale di contrasto della povertà assoluta, denominata “Rei”, cioè reddito di inclusione, che consiste in un trasferimento monetario riservato alle famiglie con Isee molto basso.
Questo reddito di inclusione potrà essere ricevuto solo se il nucleo interessato si impegna a rispettare un progetto personalizzato di reinserimento sociale e lavorativo, progetto che sarà predisposto dalla rete dei servizi sociali territoriali.
Partendo da un livello essenziale delle prestazioni, il reddito di inclusione si trasforma quindi nello strumento che ogni regione italiana deve garantire ai propri residenti che rispettino le condizioni di accesso. Possono presentare domanda anche le famiglie straniere, purché con un requisito minimo di residenza in Italia. Il beneficio ha durata limitata, ma è rinnovabile se permane la situazione di bisogno.
Una misura dunque non episodica, o dettata dalle emergenze, ma “strutturale”.
Una misura non riservata a specifiche categorie ma tendenzialmente universale, che resta subordinata alla verifica dei mezzi economici, da effettuarsi, come detto, sulla base dell’Isee e del reddito disponibile.
In attesa del decreto legislativo che traduca in pratica le principali indicazioni, è possibile sin d’ora avanzare qualche considerazione.
Non bisogna trascurare il fatto che ad oggi solo l’Italia e la Grecia, tra i Paesi dell’Unione Europea, non prevedono un piano nazionale per la lotta alla povertà valido per tutti i cittadini a basso reddito, indipendentemente dal lavoro o dall’appartenenza ad una specifica categoria sociale.
Questa misura colma dunque un vuoto. Un vuoto ancor più intollerabile considerato che, secondo l’Istat, il rischio di povertà o esclusione sociale investe oramai il 28,7 per cento della nostra popolazione.
E potrebbe trattarsi di una novità rilevante proprio nella misura in cui questo strumento di sostegno al reddito si collega strettamente ad un progetto di reinserimento nel mondo del lavoro. In tal modo non siamo più in presenza di un “obolo”, di una specie di elemosina che generosamente lo Stato eroga ai suoi cittadini più bisognosi, ma piuttosto di un “investimento” sulla persona che viene in tal modo responsabilizzata e valorizzata.
Nel solco del difficile rilancio delle politiche attive, chi riceverà il sostegno dovrà infatti “sottoscrivere un patto con la comunità”, che va dal buon comportamento civico all’accettazione delle proposte di lavoro che possono essere girate dagli sportelli regionali.
Un approccio diverso, dunque. Un approccio che però richiede un salto culturale e qualitativo nel dotarsi di strumenti per contrastare la povertà assoluta che nel nostro Paese, è bene ricordarlo, coinvolge ormai quasi ottocentomila famiglie con almeno un minore.
Infatti, affinché questo reddito di inclusione possa davvero dispiegare compiutamente i suoi effetti, sarà necessario creare un’adeguata rete di servizi territoriali di monitoraggio ed intervento.
Un compito che rischia di essere problematico soprattutto in quelle realtà del nostro Paese dove la pubblica amministrazione è poco efficiente, ma che appunto potrebbe essere anche l’occasione per un passo avanti collettivo nella qualità dei servizi pubblici.
Ecco allora che, nella pratica applicazione di questo strumento, l’essenziale sarà non fermarsi a metà, magari arrendendosi alle prime difficoltà, ma proseguire  con un programma pluriennale di aumento delle risorse, da realizzarsi anche con la razionalizzazione degli strumenti esistenti, prevista dalla delega.
Se così non sarà, avremo assistito solo ad una semplice rimodulazione di modelli precedenti. Con il rischio degli stessi fallimentari esiti del passato.


 


Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI