Sicurezza sul lavoro, in Italia questione sempre aperta

di Dino Perrone

 


Nell’Unione Europea solo la Spagna registra dati peggiori dei nostri in materia di incidenti sul lavoro. Per contrastare adeguatamente questo drammatico fenomeno, occorrono strumenti normativi e regolamentari più adeguati. Ma soprattutto serve chiarezza sul tipo di società che, tutti insieme, vogliamo costruire.


Cari associati,
desidero tornare a parlare della piaga degli incidenti sul lavoro, purtroppo spesso mortali.
Secondo i dati forniti dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza del lavoro, nel 2005 l’Italia ha registrato un tasso di mortalità del 2,6%.
Questo dato, che certamente non è stato migliorato dalle recenti tragedie di Mineo, Termini Imerese e Settimo Milanese con sedici morti in appena quattro giorni, colloca il nostro Paese agli ultimi posti, nell’ambito dell’Unione Europea, in materia di sicurezza sul lavoro.
Solo la Spagna registra dati peggiori, con un tasso di mortalità che supera il 3%, mentre sono i paesi del Nord, a partire dalla Svezia, ad avere approntato gli strumenti normativi e di prevenzione più adeguati a sconfiggere una piaga che ha assunto dimensioni sempre più preoccupanti.
Una piaga planetaria. Una indagine svolta dall’International Labour Organization rivela infatti che ogni anno muoiono nel mondo circa due milioni persone a causa di incidenti o malattie professionali. Un dato semplicemente impressionante.
Un dato che, in termini economici, corrisponde a circa il 4% del prodotto interno lordo mondiale con perdite pari a 1.250 miliardi di dollari.
Quante altre ‘morti bianche’ dovranno purtroppo entrare a statistica perché davvero si affronti in maniera adeguata, non solo nel nostro Paese, una emergenza che finora è stata troppo colpevolmente trascurata ?
E’ evidente che un simile problema chiama in causa anzitutto il rispetto doveroso della normativa antinfortunistica esistente nei singoli Paesi.
Una normativa che, per quanto riguarda l’Italia, deve essere ulteriormente potenziata, assicurando all’intero tessuto produttivo del nostro paese un adeguato sistema di gestione aziendale per la sicurezza.
Molti indicatori statistici confermano, infatti, le difficoltà metodologiche dinanzi alle quali si sono trovate le nostre aziende nell’applicazione della normativa sulla sicurezza, a partire dal decreto 626 del 1994.
Si è verificata, in particolare, una difficile integrazione tra la gestione aziendale della produzione e quella della prevenzione, cui si è accompagnata la carenza di un sistema informativo che ha reso praticamente impossibile fare entrare nel bagaglio culturale dei lavoratori i provvedimenti in materia di sicurezza.
Troppi lavoratori, anche di grandi realtà produttive, ancora oggi non conoscono tutte le forme di tutela per prevenire gli infortuni. Questa mancata o comunque insufficiente conoscenza aumenta in concreto i rischi.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che per le imprese gli investimenti in sicurezza costituiscono sostanzialmente ancora dei ‘costi’, mentre sarebbe il caso di trasformarli in incentivi.
Ma la sicurezza è  un problema che deve essere affrontato anche con adeguati strumenti culturali, chiedendoci anzitutto quale tipo di società vogliamo costruire e verso quale tipo di società, invece, stiamo andando.
Una società che ha ancora al centro dei suoi interessi, e quindi delle sue azioni, l’uomo ? O piuttosto una società pronta a sacrificare persino l’uomo ?
Qualsiasi forma di materialismo ed economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, sottolinea la Chiesa nell’encliclica Laborem exercens, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza stessa del lavoro che è racchiusa proprio ‘nel suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona’.
Parole che non consentono scorciatoie. Parole che chiamano in causa il nostro essere cristiani impegnati nel sociale.
Temo che fino a quando non saremo in grado di dar seguito a queste parole, cedendo così alla tentazione di ridurre tutto e tutti a beni fungibili, episodi come quelli di Mineo, Termini Imerese, Settimo Milanese, e prima ancora della Thyssen-Krupp e di Molfetta, siano destinati a ripetersi.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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