Diminuisce la disoccupazione, ma non aumenta l’occupazione

di Dino Perrone

 



In Italia cresce il numero degli ‘inattivi’, cioè di coloro che rinunciano persino a cercare un lavoro. Per invertire questa tendenza occorre avviare una stagione di riforme che coinvolga ogni segmento della nostra società che oggi, anche a causa della crisi economica, appare sempre più chiusa e ostile.


 


Cari associati,
un paio di sinistri fantasmi si aggirano per l’Italia.
Il primo è quello della stagnazione economica. La crescita italiana è infatti sempre inferiore alla media degli altri paesi dell’Unione Europea. Lo stesso può dirsi dei redditi e per le retribuzioni. Queste ultime, in particolare, sono cresciute decisamente meno rispetto ad esempio alla Francia ed alla Svezia.
In questo quadro di diffuso grigiore, lo stesso calo della disoccupazione, iniziato ormai quasi dieci anni orsono, di per sé non offre grossi elementi di soddisfazione.
A questo calo, infatti, non si accompagna un aumento significativo del tasso occupazionale. Al contrario, gli analisti registrano un allargamento dell’inattività dovuto alla rinuncia a cercare una occupazione.
Meno disoccupati, quindi, ma anche meno occupati. A crescere è solo il numero delle persone che, per svariate ragioni, non cercano più un lavoro. Si tratta dei cosiddetti ‘inattivi’, di coloro che sono ormai del tutto scoraggiati nella ricerca di una occupazione.
Secondo l’Istat, nel 2007 sono stati quasi tre milioni coloro che si sono mostrati interessati a lavorare ma che hanno rinunziato a ricercare un lavoro. La conseguenza è che in Italia il tasso di attività si attesta al 62,5% rispetto al 70,5% dell’Unione Europea.
Istantanee di un Paese in declino. Un Paese, come fotografato dal rapporto annuale dell’Istat, che continua a mostrarsi in affanno, timoroso del futuro e soprattutto sempre più povero.
Un Paese in cui una famiglia su tre arriva con difficoltà alla fine del mese e la metà di esse vive con meno di 1.900 euro mensili ed ha sempre più difficoltà a mettere da parte i suoi risparmi.
A pesare sui bilanci domestici, ci dice ancora l’Istat, è soprattutto la casa. Il 14% del reddito familiare è destinato alle spese per l’abitazione, ma per chi ha acceso un mutuo la quota sale addirittura al 27%.
Di tutto ciò si nutre l’altro fantasma che si aggira nel Paese. Il fantasma dell’intolleranza che sfocia nella xenofobia.
Recenti episodi di cronaca dimostrano come la ‘questione immigrazione’ sia diventata  centrale non solo nell’agenda politica italiana, ma soprattutto nelle preoccupazioni quotidiane dei cittadini.
Preoccupazioni acuite, senza alcun dubbio, da una crescente insicurezza che ha reso alcune zone delle nostre città praticamente fuori da ogni controllo legale, mettendo in discussione il modello di organizzazione reale della nostra società.
Con la pancia vuota, o quasi, è difficile mostrarsi tolleranti, aperti, pronti all’accoglienza e più ancora all’integrazione. Chi è costretto a tirare la cinghia per onorare tutte le scadenze ha poca voglia di soffermarsi sulle ragioni, ed i diritti, degli altri. In special modo quando gli ‘altri’ non sembrano avere sviluppato, a loro volta,  un adeguato senso del dovere.
E’ l’Italia di oggi, preda di vecchi e nuovi fantasmi.
Un Paese in stagnazione economica, di pessimo umore e che rischia di essere preda di una furiosa indignazione verso tutto ciò che, a torto o ragione, viene percepito come un pericolo, sul fronte della sicurezza come su quello del lavoro. Immigrati, zingari, clandestini, rom. Il tutto senza voler distinguere, il tutto senza voler capire.
Ebbene, la ricerca di capri espiatori è ciò di cui non ha certamente bisogno questo nostro Paese.
In questo senso risultano molto preziosi i richiami del Vaticano a non accentuare contrapposizioni che rischiano di compromettere il quadro della convivenza civile senza risolvere realmente alcun problema.
E’ certamente vero che nessun Paese ha avuto un incremento di immigrati in così breve tempo come avvenuto in Italia. Ma pur nell’urgenza del momento, è necessario tenere ben ferma la barra dei valori sui quali si è formata la nostra società. Valori di accoglienza, di dialogo, di solidarietà.
E questo non per subire l’immigrazione, ma per riuscire a governarla. Magari ricordandosi che il 10% del nostro prodotto interno lordo è assicurato proprio dai lavoratori stranieri.
L’Italia, per ripartire, ha bisogno di ogni segmento della società. L’Italia ha bisogno di tutti, anche degli immigrati. L’Italia ha bisogno di saper ascoltare tutte le sue componenti.
Ma è necessario che tutte queste componenti, a partire proprio dagli immigrati, siano aiutate a maturare un preciso senso del dovere. In questa opera, l’azione politica delle forze di governo e delle opposizioni deve mostrarsi all’altezza della situazione.
Solo così sarà possibile avviare a compimento, e senza tentennamenti, quelle riforme in grado di far ripartire il Paese.
Fisco, burocrazia, infrastrutture, formazione professionale, ricerca, istruzione, qualità e quantità del lavoro.
L’Italia non può più aspettare. E soprattutto, su certi temi non può dividersi in maniera manichea e preconcetta.




Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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