Sempre difficile la strada del finanziamento alle piccole imprese

di Dino Perrone



 


Il Ministro Bersani ha assegnato 990 milioni di euro per favorire progetti di innovazione industriale. Ma proprio dal suo dicastero escono dati sconfortanti sull’effettiva erogazione delle agevolazioni ministeriali. Occorre ripensare, allora, all’intero sistema per assicurare davvero la necessaria competitività al nostro comparto industriale.


Cari associati,
mentre sta muovendo i primi passi la terza fase del pacchetto di liberalizzazioni varato dal ministro Bersani, un rapporto pubblicato proprio dal dicastero per lo Sviluppo ha evidenziato come soltanto il 50% delle agevolazioni ministeriali venga effettivamente erogato alle piccole e medie imprese.
Sono dati illuminanti, questi contenuti nella Relazione sugli interventi a sostegno delle attività economiche e produttive pubblicata dal Ministero di cui è responsabile Bersani.
Dati illuminanti e preoccupanti.
Secondo gli analisti del Ministero, a tenere così basso il numero delle erogazioni che finiscono per essere effettivamente corrisposte alle imprese contribuiscono molteplici fattori.
Dalla rinuncia agli aiuti da parte delle stesse imprese, all’incapacità o impossibilità a completare i piani industriali per i quali si è chiesto il cofinanziamento. Senza trascurare, e questo ci sembra il dato da mettere maggiormente in evidenza, il ruolo frenante ricoperto dagli enti pubblici che non sempre assicurano le erogazioni nei tempi stabiliti.
Sia come sia, evidentemente c’è qualcosa da rivedere nell’intero meccanismo procedurale degli aiuti alle piccole e medie imprese, se a buon fine arriva, in media, solo un finanziamento su due.
Una revisione che appare ancora più urgente ove si consideri che per il triennio 2007-2009 il Ministero per lo Sviluppo Economico ha assegnato 990 milioni di euro al finanziamento di progetti di innovazione industriale nell’ambito del Fondo per la competitività e lo sviluppo.
Una cifra notevole, che sulla carta dovrebbe consentire al sistema industriale italiano di reggere il passo della competizione internazionale, sempre più aggressiva ed invasiva.
A sua volta Bruxelles ha assicurato che nei prossimi sette anni, a partire dal gennaio 2008, il nostro Sud avrà a disposizione cento miliardi di euro accompagnati, molto probabilmente, da consistenti crediti di imposta.
Ma dinanzi ai dati poco prima illustrati, è legittimo temere che questo flusso di denaro pubblico, proveniente da Roma come dalla Comunità Europea, potrebbe rivelarsi, in troppi casi, una sorta di fiume carsico, pronto a sparire in qualche gola montuosa per poi riapparire a valle, dinanzi ai cancelli delle nostre imprese, svuotato di forza e ridotto quasi ad un rigagnolo.
Non a caso, sempre per restare in ambito europeo, siamo il Paese che utilizza meno di tutti gli altri i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione.
Perché, allora, non si riesce a creare un sistema che consenta alle piccole e medie imprese di non lasciare per strada gli incentivi messi a loro disposizione ? Di chi la colpa ? Dove intervenire ?
Sono domande che giriamo alla nostra classe politica, nella serena consapevolezza che, se pure le colpe non stanno tutte da una parte sola, la maggior parte di esse non ricade comunque in capo alle nostre imprese.
Altre volte, anche da questa stessa tribuna, abbiamo sottolineato come agli imprenditori che vogliono investire servono anzitutto certezze. Certezze prima ancora che finanziamenti. Certezze sulle procedure, sui tempi, sulle responsabilità.
Invece le imprese italiane troppo spesso sono costrette a fare i conti con un quadro politico perennemente in fibrillazione e sfilacciato in tante sue componenti. Un quadro politico immerso in tatticismi di non sempre facile interpretazione, estenuato da mediazioni al ribasso che allontanano la soluzione dei problemi. E tutto questo crea un clima di incertezza che certamente non aiuta a programmare, ad investire, ad essere ottimisti.
Gli imprenditori italiani debbono misurarsi quotidianamente con troppa burocrazia farraginosa, troppi lacci, troppi adempimenti, troppo fisco opprimente ed inconcludente.
Nessuna meraviglia, allora, se persino gli incentivi pubblici e le agevolazioni si perdono per strada. Imprese e pubblica amministrazione, infatti, continuano a parlare linguaggi fatti apposta per non essere reciprocamente compresi.
Negli anni Sessanta, nel periodo del cosiddetto ‘boom economico’, si parlò di ‘miracolo italiano’ per il pullulare di iniziative che lanciavano il Paese sulla ribalta economica internazionale.
Da allora è cambiato tutto. E’ cambiato il clima, è mutato il contesto sociale e culturale. Sono cambiate le imprese.
E’ cambiata anche la burocrazia, ma in peggio.
Allora il vero miracolo italiano, oggi, è trovare ancora chi, in questo nostro sfibrato Paese, ha il gusto e la voglia di affrontare il rischio, di investire, di mettersi in gioco per creare ricchezza, occupazione, benessere. Nonostante tutto.


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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